Recentemente, su “Robinson”, il filosofo Roberto Esposito riflette sulle posizioni espresse dal politologo Gary Gerstle nel suo “Ascesa e declino dell’ordine liberale”, che “descrive i grandi modelli che hanno segnato gli Stati Uniti dal primo dopoguerra ad oggi. E che oggi rischiano l’estinzione”.
«Per quanto ricche e informate, molte delle analisi sulle prossime presidenziali americane mostrano un limite di profondità. Sempre aggiornate sugli ultimi sondaggi o sui minimi spostamenti di opinione, riportano fedelmente quanto è accaduto negli ultimi giorno o nelle ultime settimane. Ma non danno conto delle tendenze di lungo periodo, dalle quali possono arrivare le sorprese. Per farlo, bisognerebbe ragionare non in base ai soli cicli elettorali, ma a qualcosa che si può definire “ordine politico”. (…) A costituirlo è un complesso di ideologie, think tank, policy network, agenzie, capace nel suo insieme, di plasmare l’opinione politica, fornendo agli elettori, oltre che un programma politico, un’ispirazione di fondo solida e durevole.
(…) Negli ultimi cento anni… ciò è avvenuto due volte – con il New Deal, nato tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento, arrivato al culmine dei Sessanta ed entrato in crisi alla fine dei Settanta. E con il sistema neoliberale, sviluppato nel ventennio 1980-1990, ancora operante nel primo decennio del nuovo secolo, e poi, a sua volta, entrato in difficoltà nel secondo. In ciascuno dei casi sono riconoscibili le caratteristiche prima richiamate. Il New Deal – orientato dall’idea che il capitalismo, lasciato a sé stesso, avrebbe portato al disastro, e che dunque bisognava costituire uno Stato forte per governarlo – si afferma con la lunga presidenza del democratico Roosvelt. Ma la sua egemonia profonda nella società americana è provata dalla sua tenuta anche durante la presidenza del repubblicano Eisenhower. A sua volta l’ordine politico neoliberale, attivato dal repubblicano Reagan, si è rafforzato con la presidenza del democratico Clinton, che ha fatto propria buona parte della sua politica economica. Persino Obama, che pure ha allargato la spesa sociale a favore dei ceti più poveri, non ha davvero rotto i confini del neoliberismo.
(…) Il New Deal, che pure ha rappresentato un formidabile salto di qualità in termini di eguaglianza sociale, ha prodotto una burocratizzazione contro cui la New Left (Nuova Sinistra, ndr), a partire dalla fine degli anni Sessanta, si è battuta. Ma anche l’ordine neoliberale porta dentro di sé una contraddizione di fondo: pur esprimendo gli interessi delle élite finanziarie, ha liberato energie innovative in tutta la società americana, a partire dal salto tecnologico della Silicon Valley (…).
Già nel primo decennio del Duemila l’ordine liberale comincia a scricchiolare. La rapida successione dei movimenti, ideologicamente opposti, del Tea Party, di Occupy Wall Street e di Black Lives Matter segna un punto di non ritorno. (…) Dopo aver rischiato di perdere l’anima nell’attacco a Capitol Hill, gli americani sono davanti a un bivio: si può uscire dall’ordine liberale da destra, deformando la democrazia in senso autoritario, o da sinistra, rilanciando un grande progetto di riforma sociale.»
Roberto Esposito, Le due Americhe alla sfida finale.