“Voi non lo mutate il mondo”. Già. E la poesia in quanto tale? Che cosa provoca? Non è forse vero che se una poesia di questo genere ci rende infelici, se riesce a tanto, e se esistono poeti nuovi capaci di renderci infelici, ciò accade perché anche in noi esiste uno strappo, uno strappo conoscitivo per impulso del quale siamo in grado di ripercorrere quello in tutta la sua pregnanza (Ingebor Bachmann).
Deve mangiar viole del pensiero, l’avvoltoio?
Dallo sciacallo, che cosa pretendete?
Che muti pelo? E dal lupo? Deve
da sé cavarsi i denti?
Che cosa non vi garba
nei commissari politici e nei pontefici?
Che cosa, idioti, vi fa sgranare gli occhi
davanti allo schermo bugiardo?
Chi cuce al generale
la striscia di sangue sui pantaloni? Chi
trancia il cappone all’usuraio? Chi
fieramente si appende la croce di latta
sull’ombelico brontolante? Chi intasca
la mancia, la moneta d’argento, l’obolo
del silenzio? Son molti
i derubati, pochi i ladri; chi
li applaude allora, chi
li decora e distingue, chi è avido
di menzogna?
Nello specchio guardatevi: vigliacchi
che scansate la pena della verità,
avversi ad imparare, e che il pensiero
ai lupi rimettete,
l’anello al naso è il vostro gioiello più caro,
nessun inganno è abbastanza cretino, nessuna
consolazione abbastanza a buon prezzo,
ogni ricatto troppo blando è per voi.
Pecore, a voi sorelle
son le cornacchie, se a voi le confronto.
Voi vi accecate a vicenda.
Regna invece tra i lupi
fraternità. Vanno essi
in branchi.
Siano lodati i banditi. Alla violenza
voi li invitate, vi buttate sopra
il pigro letto
dell’ubbidienza. Tra i guaiti ancora
mentite. Sbranati
volete essere. Voi
non lo mutate il mondo.
Hans Magnus Enzensberger – Difesa dei lupi contro gli agnelli (trad. Franco Fortini e Ruth Leiser).