“Andreuccio, sensale di cavalli, non si era mai allontanato dalla nativa Perugia, quando, avendo udito che a Napoli si faceva gran commercio di quegli animali, si risolse a imprendere un viaggio d’affari nella nostra città”: così Benedetto Croce introduce il capitolo di “Storie e leggende napoletane”, che titola “Le tre avventure di Andreuccio”. Vittorio Del Tufo ne richiama il contesto fascinoso nel suo libro che è un “viaggio nel mito, nella leggenda, nei labirinti della città e nelle infinite storie che vi sono annidate”: una Napoli di “marinai e cannonieri, ladri maliziosi, sguardi distratti e fanciulle mentitrici”. “Luogo delle finzioni e dell’avventura”, lo definisce Matteo Palumbo, docente alla Federico II, “uno spazio urbano che può essere inquietante come i boschi delle fiabe, pieno di sorprese e di mutamenti, di agguati e di trappole. Nei confini di questo universo non è consigliabile andarvi per entro di notte, e massimamente un forestiere”.
«Quanti pittori, saggi, poeti e letterati hanno calpestato il suolo di Castel Nuovo. Tredici anni: tanto durò l’infatuazione di Giovanni Boccaccio per Napoli. Vi era giunto da Firenze che era poco più di un bambino, per fare apprendistato al seguito del padre presso il banco fiorentino dei Bardi: un quattordicenne irrequieto e spavaldo; vi restò tredici anni e la sua vita divenne essa stessa uno straordinario romanzo di formazione. A Napoli fiorì l’uomo, ma soprattutto sbocciò il poeta. In quel periodo, dal 1327 al 1340, l’autore del Decameron frequentò la corte, i balli e le sontuose feste di Castel Nuovo, ma anche le cantine sordide di Rua Catalana, i vicoli del Malpertugio e il budello di strade, tanto misere quanto brulicanti di vita, che molti secoli dopo sarebbero state spazzate via dal Risanamento.
Boccaccio ambientò a Napoli, tra tante novelle, la celebre “novella quinta della seconda giornata”, nella quale fa muovere il goffo e inesperto Andreuccio da Perugia tra le viuzze, i vicoli malfamati e i bordelli che tanto piacquero a Pasolini, i fondaci bui del Porto dove il giovane mercante Andreuccio (Ninetto Davoli nella trasposizione cinematografica) girovagava mezzo nudo e senza un soldo in tasca dopo essere stato derubato con l’inganno da una vecchia donna e da sua figlia.
Di quella Napoli del Trecento, che in certe zone sembra essere rimasta uguale, come sospesa nel tempo, messer Boccaccio amava tutto: il bordello di madama Fiordaliso come il Malpertugio, la strettoia che in epoca angioina serviva per accedere al mare attraverso le mura. Siamo nei vicoli che s’attorcigliavano nella zona oggi compresa tra via Medina, via Sanfelice e via Depretis. Benedetto Croce, nelle sue Storie e leggende, volle ricostruire, rileggendo quella novella, la toponomastica della memoria annientata dagli interventi urbanistici del Risanamento. Cioè dei profondi e radicali interventi urbanistici avviati sotto la spinta del sindaco Nicola Amore in seguito alla gravissima epidemia di colera del 1884. “Non è possibile conoscere con esattezza” scrive Croce “il groviglio di vicoletti che componevano la regione del Malpertugio, e dove propriamente fosse situata l’abitazione di Madonna Fiordaliso”. Tuttavia, se qualcuno desiderasse ricalcare le orme di Andreuccio, “dopo essere entrato nella via Depretis si diriga verso le case che intercedono tra le vie di Flavio Gioia e di San Nicola alla Dogana, e propriamente dove sono gli uffici della Società siciliana di navigazione a vapore. Colà era il Malpertugio”. Un’altra traccia colloca il pertusum de mare nei pressi dell’Arciconfraternita di Santa Barbara dei Cannonieri e dei Marinai, all’angolo di via dei Griffi.»
Vittorio Del Tufo, Napoli magica.