Home Cultura LE CITAZIONI: De Simone. Il cazzotto storico di Napoli nel ’44

LE CITAZIONI: De Simone. Il cazzotto storico di Napoli nel ’44

Roberto De Simone

by Ernesto Scelza
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Omaggio ad un maestro, a Roberto De Simone. Il suo “Satyricon a Napoli ‘44” è dedicato “Alla memoria / della Madre spergiura / delle Quattro Giornate, / e a Biagio e Guglielmo, / non eroici adolescenti / dopo la nottata / di eduardiana speranza” e vi si racconta la “scandalosa epopea del dopoguerra”: “La nostra adolescenza trascorse senza che ce ne accorgessimo, e noi insistevamo a cercarla come un orologio da polso smarrito o scippato”. “È lo sguardo limpido e spietato di un ragazzo straordinario in un irriverente romanzo autobiografico, che s’inchina a Petronio e strizza l’occhio a Fellini”, recita la presentazione editoriale.

 

«D’un tratto l’attenzione di tutti si concentrò su una figura gigantesca che apparve in fondo alla via. Si trattava di un marinaio americano, che una volta definivamo negro, parola oggi ritenuta offensiva, quindi, per eufemismo o ipocrisia, lo indicheremo come americano di pelle nera, statunitense color mogano, militare dermatologicamente di tinta mora, evitando il vecchio termine in sospetto di discriminazione razziale.

Ad ogni modo il nostro sea-man, alto circa due metri, sovrastava tutti come un Gulliver di colore, piombato all’improvviso tra una tribú di pigmei. Portava a tracolla una sacchetta e masticava un rettangolo di chewing-gum, gonfiando bolle in cui soffiava fino a farle crepare, sorridendo e spalancando gli occhi in segno di saluto clownesco. A metà strada, al termine della chiesa di Santa Patrizia, sostò presso una bancarella, attratto dalla figura del Re Magio negro – che non si risente dell’attributo – col suo cavallo ugualmente scuro. Ridendo di gusto lo indicò col suo indice fuori misura, mentre il venditore con premura prese le due figurine chiedendo:

− Ehi paisà, tu cumprà?

− Buono, yes, good, io cumprà.

Stabilirono il prezzo e il mercante natalizio avvolse in carta velina i due pezzi richiesti e li depose in una scatolina piena di paglia. Nel frattempo si avvicinò al gigantesco acquirente un altro negoziante, mostrandogli alcuni suonatori neri, per il seguito bandistico dei Magi. Il cacao marine rise ancora piú dentalmente biancheggiante accettando: − Okay paisà. I send to mama in America for Christmas holiday −. Il venditore incartò le figurine, indugiando nel sistemarle con premura in un pacchettino di carta. Ed ecco di corsa giungere da vico Luciella un boy lustrascarpe con la sua rumorosa cassettina da lavoro che depose ai piedi del ciclopico esemplare del Bronx:

− John, sciuscià? Du iu uont?

− Okay, baby, − rispose lui poggiando il piedone (forse un 49-50), mentre il solerte sciuscià si dava febbrilmente da fare con spazzole e fasce di velluto per lucidare le già lucidissime scarpe. Nello stesso tempo l’altissimo John, a sorpresa, trasse dalla sacchetta a tracolla una sfavillante tromba di ottone con sincopi destabilizzanti prese a ritmare i moduli arpeggiati del boogie-boogie, assecondati dal battito in off-beat delle mani di alcuni presenti. E fu come se un fratello di Aida avesse ottenuto il permesso di soggiorno a Betlemme di Santo Liguoro, o come se Baldassarre, il Re Magio negro, si fosse integrato in una chiesa battista di Harlem. A problematizzare le già complesse valutazioni intervenne, dal decumano inferiore, il transito di un pianino che si aggiunse in contrappunto negroide con ciò che stava accadendo mediante una canzone di recentissimo successo:

È nato ’nu criaturo, è nato niro

e ’a mamma ’o chiamma Giro,

sissignore ’o chiamma Giro.

Si trattava di Tammurriata nera che, con Dove sta Zazà, esprimeva il cazzotto storico aggregato alle ance metastoriche delle cornamuse, ai martelletti del pianino che scandivano meccanicamente:

Chillo ’o ninno è niro niro

niro niro comm’ a che.

Tutto sembrò svolgersi con una velocità quasi da film muto: il blackissimo acquirente ricevette i pacchetti, pagò, il lustrascarpe mostrò il compimento di una inutile e ipocrita pulitura, prendendo per mano il suo avventore e parlandogli babelicamente sul sottofondo del pianino, e le uniche parole emergenti furono segnorina fik fik fik. E tutto finí in fretta, come un’espulsione da rimuovere, sebbene il pianino indugiasse balbettante come un cuore in spasmo di fraseggio:

… e ’a mamma ’o chiamma Giro

sissignore ’o chiamma Giro,

’o chiamma Giro.»

Roberto De Simone, Satyricon a Napoli ’44. Fra Santa Chiara e San Gregorio Armeno.