A pochi mesi dalla scomparsa di Pietro Citati, “Adelphi”, la “sua” casa editrice, pubblica “La ragazza degli occhi d’oro”: un itinerario che offre la sua immagine leggera tra le pagine di un libro dove opere di tempi lontanissimi parlano tra loro attraverso la lingua comune di chi le ha lette e rilette.
«Seneca era vecchio, e parlava della propria vecchiaia con compiacimento e denigrazione. Insisteva: sono decrepito. Guardava la sua vecchiaia crescere, crescere, e portarlo, non sapeva se lentamente o rapidamente, verso la morte. Guardava gli alberi delle sue ville: gli ulivi, i faggi, le vigne che sembravano riflettere la sua stessa vita. Poi pensava alla morte, che era così prossima: si avvicinava a lei ogni giorno: ne parlava insaziabilmente ma non ne aveva paura: avrebbe abbandonato pacificamente, senza rimpianto, la vita; ma condannava l’inclinazione alla morte, che a volte sorprendeva sia negli uomini geniali sia negli uomini vili. Ricordava Epicuro, che aveva detto: “Esercitati a morire” e “è bello imparare a morire”. Voleva dire: “esercitati a essere libero”, perché chi sa morire non può, in nessun modo, rimanere schiavo di nulla.
Cercava una guida. Come diceva Epicuro: “dobbiamo scegliere un uomo buono, e averlo costantemente davanti agli occhi, in modo da vivere sempre sotto il suo sguardo”. Ma chi era questa guida? Seneca diceva di essere stoico: in realtà non lo era; non amava la figura e l’esempio del saggio impassibile, invulnerabile, intaccabile dalla sofferenza, senza bisogno di nulla. Il suo saggio, invece, aveva bisogno di moltissime cose: non rifiutava il buon senso, il senso comune, perché egli stesso accettava le abitudini quotidiane. Non dobbiamo sorprenderci se proprio lui ricordasse ed esaltasse di continuo Epicuro, e la sua nobile e sobria idea del piacere. “Epicuro impartisce precetti giusti e retti e, se lo guardi bene, anche severi”. Ci insegna la cosa essenziale: ridurre i propri desideri.»
Pietro Citati, La “Vita felice” di Seneca.