Scritto in romeno a Parigi tra il 1941 e il 1944 vedrà la luce soltanto nel 1991 in Romania per volontà dell’autore con il titolo originario “Îndreptar pătimaș” e uscirà in Francia due anni dopo tradotto da Alain Paruit e intitolato “Bréviaire des vaincus”.
«Se fossi alla guida di eserciti, li condurrei alla morte senza menzogne: senza patria, senza ideale e senza il mezzuccio truffaldino di qualche ricompensa, terrena o celeste. Direi loro tutto – e in primo luogo che la morte e la vita non hanno prezzo. Onestamente, non si potrebbe incoraggiare che in nome dell’inesistenza; se qualcosa esiste, il sacrificio, per trascurabile che sia, diventa un danno irreparabile.
La morte è un fantasma, come d’altronde la vita. Io posso morire solo se so che il loro senso non è di una perdita né di un guadagno.
Vi furono, malgrado tutto, grandi condottieri che per poco non si ingannarono…
Difficile amare Marco Aurelio; lo stesso, non amarlo. Scrivere a proposito della morte e dell’inanità, di notte, sotto una tenda, misurare le piccolezze della vita tra il fragore delle armi! In quanto paradosso umano, non è meno strano di Nerone o di Caligola. Ma come sarebbe stato grande, questo imperatore filosofo, se non fosse andato alla scuola degli Stoici, se non avesse ristretto la sua sensibilità in un insegnamento di second’ordine. Tutto ciò che è dottrina in lui è mediocre. La concezione della materia e degli elementi, la rassegnazione intesa come principio non interessano più nessuno. Il sistema è la morte dei filosofi, e a maggior ragione degli imperatori.
In tutte le sue riflessioni, di vivo e fecondo non c’è che il brivido della sua solitudine. Il padrone del più grande degli imperi non ha dove appoggiarsi; il più potente del più esteso dei domini non dispone che dell’idea della fine. Marco Aurelio è il puro simbolo delle bizzarrie della decadenza e della magia che emanano i crepuscoli della cultura.
Tutta la terra gli appartiene ed egli non ha altro rifugio che la vacuità! Se avesse seguito i tragici greci, senza farsi catturare dalla loro dottrina, quali esclamazioni non avrebbe registrato lo spirito umano! Lo stoicismo gli impose un pudore che ci imbarazza. Se i suoi maestri non l’avessero messo in soggezione, se non avesse sofferto della scomoda condizione del discepolo – quante disperazioni legate ai fatti d’arme non si sarebbero mescolate ai pensieri che le negano con deludente buona volontà!
Marco Aurelio non aveva coscienza del nulla in quanto guerriero. Quale strana poesia abbiamo perduto! L’insipida saggezza lo tenne al riparo dalle contraddizioni che conferiscono alla vita la sua misteriosa attrattiva. In questo imperatore romano c’è troppa accettazione, troppa indulgenza, troppa vergogna degli estremi del pensiero. Infine, troppo dovere. Ma lo si sarebbe dovuto vedere alla testa delle legioni che guidava verso la grandezza con un disprezzo pari alla smania di conquista! Si vive veramente quando si sottopone una passione alla prova del suo contrario. Vietato prendere un rimedio senza aver preso del veleno, e viceversa. Quando si sale un pendio, bisogna essere simultaneamente nel punto simmetrico della discesa. In tal modo, nessuna delle possibilità d’essere ci sfuggirà.»
Emil Cioran, Breviario dei vinti (trad. dal romeno di Cristina Fantechi).