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LE CITAZIONI: Borges, introduzione a Franz Kafka

by Ernesto Scelza
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Nel 1978 il grande scrittore argentino accettò di raccogliere e pubblicare per la “Biblioteca di Babele” dell’editore Franco Maria Ricci una selezione di racconti di Franz Kafka, che fece precedere da una sua introduzione.

«A quanto si sa, Virgilio incaricò in punto di morte i suoi amici di ridurre in cenere l’incompiuto manoscritto dell’Eneide, in cui si compendiavano undici anni di nobile e delicata fatica; Shakespeare non pensò mai a riunire in un solo volume le molte parti della sua opera; Kafka raccomandò a Max Brod di distruggere i romanzi e i racconti che assicuravano la sua fama. L’affinità di tali episodi illustri è, se non m’inganno, illusoria. Virgilio non poteva ignorare di contare sulla devota disobbedienza degli amici; Kafka su quella di Brod. Il caso di Shakespeare è diverso. De Quincey congettura che per Shakespeare la pubblicità consistesse nella rappresentazione e non nella stampa; era il palcoscenico a contare per lui. Del resto, l’uomo che realmente desidera la sparizione dei propri libri non affida tale incarico a un altro. Kafka e Virgilio non desideravano questa distruzione; anelavano solo a sciogliersi dalla responsabilità che un’opera sempre ci impone. Virgilio, credo, lo fece per ragioni estetiche; avrebbe voluto modificare questa o quella cadenza, questo o quell’epiteto. Più complesso, mi pare, il caso di Franz Kafka. Si potrebbe definire la sua opera come una parabola o una serie di parabole, il cui tema è la relazione morale dell’individuo con la divinità e col suo incomprensibile universo. Nonostante la sua ambientazione contemporanea, è meno vicina a quella che si è convenuto di chiamare letteratura moderna del Libro di Giobbe. Presuppone una coscienza religiosa, e anzitutto giudaica; la sua imitazione formale in altri contesti è priva di senso. Kafka vedeva la propria opera come un atto di fede, e non voleva che essa scoraggiasse gli uomini. Per tale ragione incaricò l’amico di distruggerla. Possiamo sospettare altri motivi. Kafka, sinceramente, poteva sognare solo incubi, e non ignorava che la realtà si incarica di somministrarli senza posa. Aveva anche intuito le possibilità patetiche della dilazione, che si avverte in quasi tutti i suoi libri. Ambedue le cose, tristezze e dilazioni, senza dubbio vennero a stancarlo. Avrebbe preferito la stesura di pagine felici, e la sua onorabilità non accondiscese a fabbricarle.

(…) Nessuno ignora che Kafka non cessò mai di sentirsi misteriosamente colpevole di fronte a suo padre, alla maniera di Israele col suo Dio; il suo giudaismo che lo appartava dalla generalità degli uomini deve averlo afflitto in maniera complessa. La coscienza della morte prossima e l’esaltazione febbrile della tubercolosi devono aver acuito tutte le sue facoltà. Queste osservazioni sono laterali; in realtà, come disse Whistler, “l’arte succede”. Due idee — o meglio, due ossessioni — innervano l’opera di Franz Kafka. La subordinazione è la prima delle due; l’infinito, la seconda.»

Jorge Luis Borges, Introduzione a “L’avvoltoio” di Franz Kafka.