Home Cultura LE CITAZIONI: Biagi. Brigata Giustizia e Libertà, cento ragazzi e un capitano

LE CITAZIONI: Biagi. Brigata Giustizia e Libertà, cento ragazzi e un capitano

Enzo Biagi

by Ernesto Scelza
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“Siamo all’inizio del 1944 e in Italia, per un ventenne come Biagi, è l’ora delle scelte radicali: da una parte l’adesione alla Repubblica sociale nell’ora più buia del fascismo, dall’altra la scelta fuorilegge di andare in montagna e unirsi ai partigiani. Una mattina Enzo scelse la sua strada e pedalò verso i boschi d’intorno, fissando il cielo primaverile. Guardava le nuvole cambiar forma e ancora non sapeva che quel viaggio in bicicletta lo avrebbe portato a essere l’uomo che sarebbe diventato. Qualche ora dopo, Biagi si univa a una compagnia di perfetti sconosciuti che in poco tempo sarebbe diventata la sua seconda famiglia: la brigata partigiana di Giustizia e Libertà”. La citazione è tratta dal primo capitolo de “I quattordici mesi”. Ricordano le figlie Bice e Carla: “Tra i ricordi più vivi che abbiamo di nostro padre, soprattutto degli ultimi anni, c’è una frase che ricorreva più spesso nei pomeriggi passati insieme: “Ci sono due categorie di uomini a me più care” ci diceva. “Gli operai e i partigiani”. “Quei quattordici mesi con la brigata Giustizia e Libertà sono stati i più belli della mia vita”, raccontava.

 

«Era l’inizio del 1944. Presi una decisione, fondamentale, poi, per tutta la mia vita: andare coi partigiani. Partii la mattina in bicicletta. La primavera chiazzava di bianco i prati, c’erano poche nuvole gonfie, un giorno da gita scolastica. Pedalavo e cercavo di ripetere le nozioni di geografia: cirro, cumulo, nembo…

La signora Ines mi aveva procurato una tessera falsa, risultavo classe 1918, per niente idoneo al servizio militare a causa di certi disturbi cardiaci. Un solo pensiero mi ossessionava: se mi prendono nessuno saprà mai dove sono finito. Decisi di raggiungere le mie parti tra i boschi dell’Appennino tosco-emiliano, sapevo che era zona di partigiani, non avevo un nome, non avevo un punto di riferimento, insomma non conoscevo nessuno. Avevo solo la volontà di fare qualche cosa che ritenevo utile per la mia gente, per il mio Paese e anche per me.

Non ricordo quanto impiegai, so che dopo qualche tempo mi fermai a mangiare vicino a una fontanella, sul bordo di una strada. Pensavo anche ai tedeschi, così lontani dal loro mondo, e agli americani, agli inglesi che stavano venendo in su. Partiti dalla Westfalia, dall’Arizona o dal Galles per morire a Vergato.

Quando si fece notte entrai in una casetta fuori mano. C’erano due vecchi con la nuora e dei bambini.

“Qualche volta” dissero “passa la pattuglia dei repubblichini, qualche volta capitano i partigiani. Ma se vuole, può dormire nel fienile. Noi non la conosciamo.”

(…) Avevo avuto un’indicazione: la Segavecchia, vicino all’Abetaia. La brigata Giustizia e Libertà doveva prima o poi transitare di lì. Lungo la strada avevo incontrato camion carichi di munizioni, c’erano cartelli inchiodati ai pali del telegrafo con la scritta: “Achtung! Banditen!”. Io avevo uno zaino con poche cose, dei maglioni, della biancheria che aumentava la mia fatica. Quando finalmente lasciai la provinciale ed entrai nei castagneti, mi sentii più sicuro. Più in alto cominciava il bosco. Ritrovai odori, rumori che appartenevano all’infanzia (…).

Mi sdraiai su un sasso, al sole, dai Bagnadori il vento portava un’aria fresca che sapeva di felci. Sentii un rumore, si avvicinò un ragazzo dal passo un po’ goffo, dal volto aperto che ispirava fiducia, doveva avere più o meno la mia età. “Mi chiamo Checco” disse. “È un po’ che ti stiamo osservando.”

Lo seguii tra gli abeti, tanto fitti che ci si perdeva. La terra era scura, coperta di aghi, un senso di umido ti gelava la pelle. Notai che Checco teneva una rivoltella da carabiniere, a tamburo, infilata nella cinghia, e ogni tanto si voltava a vedere se lo seguivo.

Mi portò dalla brigata. Gl non vuol dire Gil, mi avevano spiegato, ma Giustizia e Libertà, non Gioventù italiana del littorio. Il comandante, dicevano che era molto bravo, aveva fatto tutta l’Africa in artiglieria, da effettivo, guardava i nuovi con diffidenza, voleva disciplina, come nei reparti regolari. “Signor capitano” gli dicevano tutti. Il capitano Pietro stava su un poggio; aveva un cannocchiale che gli pendeva sul petto, e uno Sten a tracolla. Portava occhiali scuri. La camicia aveva alcuni bottoni slacciati; ogni tanto si grattava. Era alto, robusto, parlava poco e adagio, con accento meridionale. Accanto a lui c’erano Sandro e Gigino, che avevano il grado di tenente. Sandro portava una divisa di panno inglese.»

Enzo Biagi, I quattordici mesi. La mia Resistenza.

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