Sergio Bellucci è un giornalista e saggista specializzato nei temi dell’innovazione tecnologica legata alla comunicazione. Ha studiato il processo di digitalizzazione del ciclo economico che tende a inglobare in sé ogni oggetto/aspetto del reale. “L’avvento delle tecnologie dell’Intelligenza Artificiale Generativa, accelerano il processo di trasformazione iniziata portandolo al limite delle sue potenzialità”.
«La forma del potere e quella delle comunicazioni tra le persone si sono sempre inseguite lungo una spirale permanente. Ogni lotta per consolidare o modificare assetti politici e sociali si è poggiata su due assi centrali: le modalità della comunicazione interna ai gruppi e quella prodotta da essi verso i corpi sociali (…). L’insieme delle tecnologie di comunicazione, in altre parole, è sempre stata la forma delle possibilità di connessione tra le persone e le loro idee e, quindi, il terreno privilegiato di controllo di questo scambio, da parte del potere (…). Libri e giornali prima, telefonia, radio e TV poi, hanno rappresentato, in particolare nel ‘900, una trama di flussi comunicativi in grado di connettere miliardi di persone, di far scoprire loro il mondo nel quale vivevano, la complessità delle sue forme sociali e politiche, l’interdipendenza dei destini e le differenze economiche o culturali, ma costituivano anche uno dei terreni privilegiati di produzione del controllo. Poteri statuali, poteri finanziari o economici, movimenti di emancipazione, di liberazione o movimenti rivoluzionari si sono scontrati sulle forme e possibilità di comunicare ufficialmente, ufficiosamente o in modo indiretto, nascosto (…).
Poi è arrivato il digitale. Libri, quotidiani, radio e TV si fondano su un meccanismo funzionale piramidale che ne struttura una specifica forma. La liquidità delle tecnologie digitali rompe tali forme e fa traslare alcune forme del controllo verso poteri distanti e, in larga misura, sconosciuti e sovranazionali. Mentre i settori della comunicazione pre-digitali, fortemente ed esplicitamente gerarchici, poggiano su forme di controllo e riequilibrio nazionali (controbilanciabili da norme nazionali e, quindi, da decisioni politiche), quelle digitali sfuggono a tale dimensione di controllo democratico. I “gradi di libertà” che le forme tecnologiche “analogiche” si erano conquistate – con le leggi sulla libertà di stampa prima e con i servizi pubblici radiotelevisivi poi – erano garantite da spazi di libertà conosciuti e rivendicati attraverso un controllo sociale e politico puntuale. Decenni di lotta sulla libertà di stampa, ad esempio, hanno prodotto forme di tutela e di garanzia che hanno una percezione di massa consolidata. La storia della “rete delle reti” è diversa, almeno fino ad oggi. Essa, infatti, ha avuto pochi tentativi di intervento “politico” sulla sua forma e, spesso, rivendicati più da movimenti che da forze politiche o da governi. Eppure mai come l’avvento della rete Internet deriva da decisioni “politiche” di alcuni governi, anche se la “Politica”, soprattutto quella dei paesi europei, ha snobbato e sottovalutato il problema.»
Sergio Bellucci, Il “settimo continente” e le forme dei poteri.