Zygmunt Bauman, uno dei grandi pensatori contemporanei, nel 2011 pubblica questo breve studio sul male e si interroga: “Che cos’è il male oggi? In che modo si può dire che le sue manifestazioni, le sue spinte, le sue modalità di aggredire il tessuto del mondo e delle persone che lo abitano si siano modificate?”. Questo primo capitolo ha un titolo doppio. Uno generico, da saggio storico-politico: “Dalla Rivoluzione francese all’Olocausto”; e l’altro di sapore etico, più intimo, sofferto, da moralista: “Più si cambia, più è la stessa cosa”. Le considerazioni prendono spunto da Anatole France che nel 1912, pubblica “Gli dèi hanno sete”, ambientato a Parigi nel periodo del “Terrore” successivo alla Rivoluzione francese, con l’intento di liberare “i grandi conflitti umani da interpretazioni ingenue come la lotta fra il bene e il male, comprendendoli invece alla luce della tragedia”, come ha ricordato Milan Kundera.
«È alquanto improbabile che ai giorni nostri un lettore del romanzo di Anatole France “Les dieux ont soif” (“Gli dèi hanno sete”), pubblicato originariamente nel 1912, non resti al tempo stesso sconcertato ed estasiato (…). Nel momento in cui Anatole France depose la penna e diede l’ultima occhiata al suo romanzo terminato, non c’erano ancora parole come “bolscevismo”, “fascismo”, e neppure “totalitarismo” negli elenchi dei dizionari, né in quello francese né in quelli delle altre lingue; né comparivano in qualsivoglia testo di storia nomi come quelli di Stalin o Hitler.
Lo sguardo di Anatole France si appuntò su Evarist Gamelin, un giovane principiante che si muoveva nel mondo delle belle arti, un giovanotto di grande talento, molto promettente, che tuttavia provava disgusto per Watteau, Boucher, Fragonard e altri dittatori del gusto popolare — il cui “cattivo gusto, brutti disegni, pessima ideazione”, “la totale assenza di uno stile chiaro e di un tratto definito”, “una totale inconsapevolezza della natura e della verità”, con un’inclinazione per “maschere, bambole e fronzoli, per le stupidaggini infantili” egli spiegava con la loro sollecita propensione a “lavorare per i tiranni e per gli schiavi”.
Gamelin era certo che “fra cent’anni tutti i dipinti di Watteau saranno finiti a marcire nelle soffitte”, e prediceva che “nel 1893 gli studenti di arte copriranno le tele di Boucher con i loro schizzi rudimentali”. La Repubblica francese, che era ancora una tenera, instabile e fragile figlia della Rivoluzione, sarebbe cresciuta tagliando, l’una dopo l’altra, le molte teste dell’idra della tirannia e della schiavitù, compresa questa. Nessuna pietà per chi cospira contro la Repubblica, nessuna libertà per i nemici della libertà, né la minima tolleranza per i nemici della tolleranza. Ai dubbi sollevati dalla sua incredula madre, Gamelin rispose senza esitazione: “Dobbiamo riporre la nostra fiducia in Robespierre; lui è incorruttibile. Ma, soprattutto, dobbiamo credere in Marat. È lui che ama sul serio il popolo, che realizza i suoi veri interessi e che lo serve. È sempre stato il primo a smascherare i traditori e a sventare i complotti”.
In uno dei suoi rarissimi interventi autoriali, Anatole France spiega/stigmatizza i pensieri e le gesta del suo eroe e di coloro che gli somigliano con le parole “sereno fanatismo” di “piccoli uomini che avevano demolito lo stesso trono e avevano rovesciato il vecchio ordine delle cose”.»
Zygmunt Bauman, Le sorgenti del male.