Ernesto Balducci fu una delle personalità di maggior spicco nella cultura del mondo cattolico italiano nel periodo che accompagnò e seguì il Concilio Vaticano II. Nel riproporre lo scritto (“Etica laica e fedi religiose sul crinale apocalittico”) nel 1989, all’indomani della caduta del “Muro” di Berlino, sottolinea in “Premessa”: “Apparso nel 1985, in un momento alto del dibattito sulla pace e sulla nuova cultura che la pace presuppone, “L’uomo planetario” andò rapidamente esaurito. Il mio primo intento, nello scriverlo, fu di offrire – vorrei dire, innanzitutto a me stesso – il quadro storico-geografico su cui la nuova cultura deve misurare e ricostruire la propria memoria”.
«Dopo la prima guerra mondiale (morirono solo dieci milioni di persone!) divenne celebre una frase di Paul Valéry: “Ora le civiltà sanno di essere mortali”. Nemmeno trent’anni dopo, la tragica consapevolezza ha toccato il limite: ora la specie umana sa di essere mortale e sa che questa morte non si nasconde in un futuro remoto, ma è una possibilità quotidiana. Nel 1929 Sigmund Freud aveva già scritto (e le sue parole si rileggono oggi con malinconia, ma con profondo consenso): “Gli uomini hanno adesso talmente esteso il loro potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all’ultimo uomo. Lo sanno, donde una buona parte della loro presente inquietudine, infelicità, apprensione. E ora c’è da aspettarsi che l’altra delle due “potenze celesti”, l’Eros eterno, farà uno sforzo per affermarsi nella lotta con il suo avversario altrettanto immortale. Ma chi potrà prevedere se avrà successo e quale sarà l’esito?”.
L’aggressività, “figlia e massima rappresentante dell’istinto di morte” (la morte, Thanatos, è l’altra “potenza celeste”), è riuscita davvero a munirsi di uno strumento adeguato all’obiettivo a cui essa sicuramente tende. Lo strumento è cresciuto fino a diventare un organismo immobile e muto, dalle dimensioni assurde, e sta ancora crescendo su sé stesso per forza propria, nutrendosi della stessa paura che incute. La crescita dell’organismo nucleare mentre assorbe e tramuta in strutture finalizzate le spinte aggressive, retaggio della specie, si ripercuote nella coscienza collettiva e la getta in balia della sindrome della paura della fine. La coscienza collettiva non è chiara e distinta come può essere quella individuale. Le sue percezioni sono confuse, ma robuste, perché si ritagliano nella calda sostanza dell’istinto. Accumulandosi, esse corrodono, anno dopo anno, il tessuto di certezza in cui la coscienza collettiva aveva disegnato l’identità dell’uomo storico. È su questo tessuto di superficie che hanno ancora senso i colori che in una carta geo-grafica indicano i confini tra le nazioni ed eventualmente fra i blocchi militari. E in questo quadro rappresentativo hanno ancora senso i termini “guerra”, “vittoria”, “difesa”, che sono poi i termini del nostro dibattito quotidiano. Eppure basterebbe appena un modesto esercizio di ragione per rendersi conto che dietro questi termini non c’è più nessun contenuto corrispondente.»
Ernesto Balducci, L’uomo planetario.