Lo storico della contemporaneità Timothy Garton Ash ripercorre trionfi e tragedie del sogno europeo che dal secondo dopoguerra a oggi, malgrado tutto, non smette di affascinare. Nell’ultimo capitolo, “Guerra in Ucraina”, si chiede; “Siamo destinati a tornare al punto di partenza?”.
«Dopo che l’esercito di Putin ha invaso l’Ucraina, giovedì 24 febbraio 2022, l’Europa è tornata al punto di partenza. Sullo stesso terreno dove la Wehrmacht e le SS avevano scatenato una guerra del terrore fra il 1941 e il 1944, ora le forze russe stavano lanciando un’altra guerra del terrore: bombardamenti indiscriminati sulle città, torture ed esecuzioni di civili, stupri. Le stesse città, cittadine e villaggi tornarono a soffrire, la stessa nazione, in qualche caso persino le stesse donne e gli stessi uomini.
Boris Romancenko, un novantaseienne ucraino che era sopravvissuto a quattro campi di concentramento nazisti, fra cui Buchenwald e BergenBelsen, venne ucciso da una granata russa nella sua città natale di Charkiv. Un missile russo cadde non lontano da Babij Jar, teatro di un famoso eccidio di ebrei per mano dei nazisti. I giornalisti ucraini riportarono che gli anziani nei villaggi intorno a Kiev si riferivano agli invasori russi con il termine nimtsi, “tedeschi”.
Ancora una volta, milioni di uomini, donne e bambini innocenti dovettero fuggire dalle loro case con “solo tre valigie”. Tra la folla di madri disperate e bambini urlanti che cercavano di salire su un treno alla stazione centrale di Kiev, Tanya Novgorodskaya, una storica dell’arte accompagnata dalla figlia quindicenne, disse a Shaun Walker, corrispondente del “Guardian”: “Guardi queste facce. Sono esattamente le stesse delle fotografie della seconda guerra mondiale”. Si contarono quasi 8 milioni di sfollati interni; oltre 6 milioni di ucraini ripararono all’estero. Fra loro c’erano numerosi membri della comunità ebraica ucraina, alcuni dei quali trovarono rifugio in una Germania molto diversa. Carri armati bruciati e mezzi blindati erano abbandonati lungo le strade dei villaggi semidistrutti, scene che ricordavano la Normandia dopo il D-Day. Mariupol’, la città portuale sul Mar d’Azov che la Russia bersagliò per collegare la Crimea e il Donbass, fu ridotta in rovina dall’artiglieria russa al punto da sembrare Varsavia nel 1945.
Quando le truppe russe si ritirarono da Buca, un sobborgo di Kiev, i corpi degli abitanti furono trovati per le strade con le mani legate dietro la schiena e dei fori di proiettile nel cranio. Putin elogiò l’unità che quasi sicuramente era responsabile di simili atrocità, la 64a Brigata fucilieri motorizzata, come un “esempio nell’assolvere al proprio dovere militare, valore, dedizione e professionalità”. Vennero riportati numerosi casi di stupro e violenza sessuale. Amnesty International riassunse così la testimonianza di una donna di un villaggio a est di Kiev: “Due soldati russi erano entrati a casa sua e avevano ucciso il marito, poi l’avevano stuprata sotto la minaccia delle armi mentre il figlio si nascondeva nel locale caldaia adiacente”.
Sovrapponete un filtro in bianco e nero alle foto a colori di queste scene, e vi sembrerà di essere nel 1942, non nel 2022. Ma osservate più da vicino l’immagine del cadavere di una donna ucraina steso su una strada di Irpin’, un altro sobborgo di Kiev occupato dai russi. Cos’è quel simbolo sul portachiavi lì accanto? Togliete il filtro in bianco e nero e lo vedrete chiaramente: le stelle gialle su fondo blu della bandiera europea.»
Timothy Garton Ash, Patrie.