Nel 1944, Hannah Arendt analizza il personaggio di Charlot (assimilato allo “Schlemihl” di Heine: “colui che non vale nulla”) e la figura di Charlie Chaplin, “paria”, sospettato per principio. Mostrando di accogliere la vulgata che voleva Chaplin ebreo e apolide, che egli stesso consentì si diffondesse prima di smentirla alla fine della guerra.
«Fin dal suo primo film, Chaplin ritrasse le difficoltà croniche del piccolo uomo che è incessantemente infastidito e oppresso dai guardiani della legge e dell’ordine – i rappresentanti della società (…). Il mondo di Chaplin è totalmente terreno, caricaturizzato in modo grottesco se vogliamo, e nondimeno duro e reale. È un mondo da cui non si può fuggire né con la natura né con l’arte, e contro i cui attacchi l’unica difesa è la propria arguzia o la gentilezza e l’umanità di conoscenze casuali. Il tipo che Chaplin ritrae è sempre fondamentalmente sospetto agli occhi della società. (…) Stando fuori dalla società, sospettato da tutti, il paria – come lo ritrae Chaplin – non poteva non destare la simpatia della gente comune, che riconobbe in lui l’immagine di quello che la società le aveva fatto. (…) In questo piccolo ebreo abbandonato, pieno d’ingegno, che è sospetto a tutto il mondo, si riconosce il piccolo, pover’uomo di tutti i paesi. Nel piccolo ebreo “Schlemihl” egli vide il suo simile, vide la figura grottescamente esagerata che lui stesso, come ben sapeva, rappresentava un poco. Ed ha potuto ancora per lungo tempo ridere candidamente su sé stesso, sulla sua malasorte e i sui modi comici e astuti di scamparla, per tutto il tempo in cui non conosceva ancora l’estrema disperazione sotto forma di disoccupazione, per tutto il tempo in cui non aveva incontrato un ‘destino’ di fronte al quale fallivano tutte le astuzie individuali sapientemente escogitate. Da allora la popolarità di Chaplin è caduta rapidamente; non tanto a causa del crescente antisemitismo, ma perché il suo profondo sentimento umano non vale più nulla, perché la fondamentale liberazione umana non aiutava più ad attraversare la vita. Il piccolo grande uomo aveva deciso di trasformarsi in ‘grande uomo’.
Non Chaplin, ma il Superuomo (l’Übermensch nietzschiano; Superman, in inglese) è diventato ora l’idolo del popolo. Quando, nel “Dittatore”, Chaplin cercò di rappresentare la bestialità e la mostruosità del Superuomo, quando mise a confronto, nel doppio ruolo, il piccolo pover’uomo con il grande uomo e alla fine gettò perfino la maschera facendo venir fuori dal piccolo pover’uomo il reale uomo-Chaplin per mettere davanti agli occhi del mondo in una disperata serietà la semplice saggezza del piccolo pover’uomo e di nuovo renderla desiderabile – allora lui, che una volta era stato il più amato di tutto il mondo abitato, non fu quasi più capito.»
Hannah Arendt, Charlie Chaplin: il sospettato.