Durante gli anni Quaranta Adorno e i suoi collaboratori condussero delle ricerche all’Università della California di Berkeley finalizzate all’analisi della personalità autoritaria, poi confluite nella “Personalità autoritaria” pubblicata nel 1950. Questa citata è una sorta di “presentazione” che compare nel volume “Pregiudizio e carattere” pubblicato da Max Horkheimer e Theodor W. Adorno nel 1952. La traduzione italiana è tratta dal volume “La Scuola di Francoforte. La storia e i testi”, a cura di Enrico Donaggio.
«Al centro delle nostre indagini stava il nesso tra le ideologie politiche e la determinata indole psicologica di coloro che vi aderiscono… Si è pervenuti a conclusioni decisive circa le potenze psicologiche che rendono un uomo permeabile alla propaganda del nazionalsocialismo o di altre ideologie totalitarie (…). La forza di questi movimenti di massa ostili alle masse trae origine da poderosi interessi politici ed economici, e i loro adepti, che non a caso si facevano chiamare il “seguito”, non ne sono affatto gli elementi determinanti. E tuttavia, nella moderna società di massa, i veri beneficiari di tali movimenti hanno bisogno delle masse (…).
Da un lato sono stati infatti analizzati e indagati gli “stimoli” impiegati dagli agitatori, soprattutto quelli consapevolmente nazionalpopolari, al fine di conquistare degli uomini alla loro causa (…).
(…) I trucchi sono sempre gli stessi. L’uniformità del materiale è tale che in fondo tutto potrebbe essere sviluppato a partire da un unico discorso… Il pensiero rigido, stereotipato, e la ripetizione incessante costituiscono i mezzi della pubblicità di stile hitleriano. Essi smussano i modi di reazione, rendono a suo modo ovvio quel che è piattamente banale, e mettono fuori gioco le resistenze della coscienza critica. Da tutti questi discorsi e manualetti dell’odio si può cosí sceverare, proprio come nel caso della propaganda del Terzo Reich, un numero assai ristretto di trucchi impiegati di continuo, standardizzati e legati tra loro in modo meccanico.
C’è per esempio il cliché dell’oratore. Egli si presenta come un piccolo grande uomo, uguale a tutti gli altri eppure geniale, impotente eppure trasfigurato dal bagliore del potere, uomo medio eppure semidio; non diversamente da Hitler, che si è autodefinito un “soldato della prima Guerra mondiale” o un “tamburino”. C’è poi la divisione del mondo in pecore bianche e nere, in buoni, dei quali si fa parte, e cattivi, inventati solo per fungere da nemici. I primi sono già salvi, e i secondi dannati, senza vie di mezzo, limitazioni; senza la minima riflessione su sé stessi, proprio come nel famoso passo di Mein Kampf in cui Hitler consiglia, per avere la meglio su un avversario o un concorrente, di dipingerlo con le tinte più fosche. C’è poi l’idea che l’agitatore, che pure vorrebbe sempre legarsi a una cricca potente come sbirro fidato, sia assolutamente isolato, minacciato, emarginato, impossibilitato a contare su altro che sulla propria forza.»
Theodor W. Adorno, La personalità autoritaria.