E così anche la Campania ha avanzato la sua proposta di autonomia. Il governatore De Luca ha infatti inviato al Governo, lo scorso 10 luglio, un testo di accordo preliminare relativo a sette materie: 1) valutazioni di impatto ambientale; 2) autorizzazioni paesaggistiche minori; 3) istruzione e formazione professionale; 4) tutela della salute: autonomia piena in materia sanitaria; 5) pagamento dei contributi comunitari destinati alle imprese agricole; 6) integrazione delle funzioni attribuite ai provveditorati alle opere pubbliche e agli uffici del genio civile; 7) rete regionale dei musei e dei beni culturali.
Lo ha fatto sulla base delle pronunce del Consiglio regionale che, nell’impegnarlo ad avviare il negoziato col Governo, ha affermato la piena determinazione ad accettare la sfida di competitività secondo i principi dei fabbisogni e dei costi standard … della coesione e solidarietà sociale.
L’attribuzione delle connesse risorse dovrebbe avvenire sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e non della spesa storica. Qualora i LEP non siano definiti (e sappiamo tutti che non lo sono), lo Stato dovrà provvedervi entro un anno dall’Intesa. Vanno comunque garantite le risorse necessarie data la ridotta capacità fiscale per abitante del territorio e rimane fermo l’obbligo dello Stato di costituire il fondo perequativo per conseguire il riequilibrio tra nord e sud.
Questa, in estrema sintesi, la proposta. Proviamo a scendere nel merito delle questioni.
Prima di tutte, quella del coinvolgimento dei cittadini campani. Non risulta che qualcuno abbia chiesto loro se vogliano davvero maggiore autonomia e su quali materie. Non parlo necessariamente di un referendum, ma almeno un’informazione capillare e diffusa, un confronto aperto e costruttivo al fine di far capire alla gente di cosa si parla e raccoglierne le istanze. Niente di tutto questo. Un pugno di assessori e consiglieri regionali è stato considerato sufficientemente rappresentativo per decidere su un tema di fondo, che riguarda addirittura le ragioni e le forme della convivenza nazionale. Avranno fatto un corso intensivo.
Anche i tempi lasciano perplessi. La prima pronuncia del Consiglio regionale è del 30 gennaio 2018, quasi un anno e mezzo fa, la successiva è dello scorso febbraio. Nel frattempo cosa è stato fatto? E da febbraio ad oggi? Non si può evitare di legare l’iniziativa di De Luca alle prossime elezioni regionali. Sembra tanto, lo hanno detto e scritto in molti, che il Governatore voglia giocare una sua partita politica in sostanziale appoggio all’attuale deriva autonomista, pur marcando le debite differenze, in cambio della propria conferma come Commissario alla sanità. Non è il caso di ricordare quanto sia importante il controllo della sanità in ottica elettoralistica.
Veniamo alla scelta delle materie oggetto dell’autonomia. Valutazioni ambientali, autorizzazioni paesaggistiche e contributi comunitari all’agricoltura avranno certamente la loro rilevanza, in primis quella di consentire ai politici locali di gestire più liberamente il territorio, nel bene e nel male, ma non sembrano fare la differenza. Musei e beni culturali e provveditorati alle opere pubbliche rientrano nella medesima logica. Quanto alla regionalizzazione dell’istruzione compatibilmente con il carattere nazionale della scuola pubblica, non è chiaro cosa si intenda e quali benefici dovrebbe portare. Resta la tutela della salute. “Autonomia piena in materia sanitaria”. E torniamo al discorso di prima. Questa sembra essere la vera richiesta. Su questa competenza si gioca il consenso.
Ma la sostanza della questione è economica. Le Regioni ricche del Nord vogliono l’autonomia per garantirsi le entrate fiscali che producono, senza doverle dividere col resto del Paese. Il Sud ha l’interesse contrario. Deve mirare a superare le distorsioni che hanno portato a riconoscere fabbisogni standard iniqui in delicati ambiti sociali, in carenza di una preventiva definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. Ossia non può adattarsi a ricevere in ragione del costo di servizi inadeguati (spesa storica), ma piuttosto in base a prestazioni prestabilite almeno decenti. Quindi LEP, perequazione, equità orizzontale.
Infatti, De Luca nella sua proposta esclude esplicitamente il criterio della spesa storica e chiede la definizione dei LEP entro un anno. Se però non avvenisse (come è quasi certo) si resterebbe legati alla spesa destinata a carattere permanente, fissa e ricorrente, a legislazione vigente. E siamo punto e a capo. Questo è il vero punto debole della proposta della Regione Campania.
L’ex Presidente Caldoro, capo dell’opposizione in Consiglio regionale e responsabile nazionale Autonomie per Forza Italia, ha parlato addirittura di tradimento del fronte del Sud e di violazione dei patti presi in Consiglio. E’ opinabile, per la verità, che esista davvero un fronte del Sud e stupisce che l’opposizione abbia dato a De Luca una delega sostanzialmente in bianco ad avviare la trattativa con il Governo. A che punto è l’iniziativa referendaria di Caldoro sulla Macroregione autonoma del Sud? Quanto ai 5Stelle nostrani, quasi non pervenuti.
In questo quadro di carenza di proposte politiche concrete, De Luca ringrazia e occupa uno spazio lasciato libero. Siede al tavolo nazionale dell’autonomia differenziata e fa campagna elettorale. Ha un vantaggio rispetto a tutti gli altri: non solo è il Presidente in carica, ma è già candidato alle prossime regionali e comanda lo schieramento che lo sostiene. Il centrodestra e il M5S sono invece ancora in alto mare in balia delle onde.