Parliamo ancora dei luoghi di Napoli, forziere di straordinarie scoperte con Laura Terracina.
Poco discosto dalla Chiaia di Napoli nella prima metà del ‘500, vi era la casa di campagna di una poetessa napoletana, Laura Terracina (1519-1577), che era solita datare le sue lettere o le dediche dei suoi versi con dalla piaggia o dalla piaggia di Chiaia. Spesso alla torretta dei Terracina venivano a farle visita gli intellettuali del tempo, attratti dalla cultura della nobildonna. L’attuale via della Croce Rossa alla Riviera di Chiaia, oltrepassata la via di Santa Maria in Portico, si chiamava nel sec. XVI via della Cupa dei Terracina. Percorsa tutta, la via sfocia in Piazzetta Terracina dove in un gruppo di vecchie fabbriche vi è la porta di un’antica torre (forse la Torretta rimasta nella toponomastica dei luoghi?), dove si osserva uno scudo con lo stemma dei nobili proprietari. Lì orti, giardini di delizie e poderi allietavano la vita del potente casato, che estendeva i suoi possedimenti fino alla Chiaia e che dall’alto delle case doveva godere di una vista straordinaria sul golfo. La poetessa Laura Bacio Terracina vi trascorse quasi tutta la sua esistenza. Ma chi era costei?
Fece parte, insieme ad Angelo di Costanzo, Andrea Mormile, Isabella Villamarina, principessa di Salerno e Ferrante Carafa, marchese di S. Lucido, dell’Accademia degli Incogniti fondata a Napoli nel 1546. Laura entrò nelle grazie del vicerè di Napoli Pedro Alvarez de Toledo e la sua presenza era ambita nei migliori salotti culturali della città partenopea. Nel 1548 fu pubblicata la sua prima opera “Rime”, una raccolta dedicata a Vincenzo Belprato conte d’Aversa; ebbe un enorme successo tanto che vi furono ben sette ristampe. Nel 1549 fu pubblicata l’opera “Discorso sopra tutti li primi canti di Orlando Furioso” che la consacrò definitivamente come una delle migliori scrittrici poetessa dell’epoca. Si sposò con Polidoro Terracina; trasferitasi a Roma continuò a scrivere poesie, i suoi ultimi sonetti furono dedicati ai cardinali convenuti a Roma per l’elezione di Papa Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni. (Dal sito nobili-napoletani)
La Terracina appartiene ad un gruppo di poetesse come Vittoria Colonna, Gaspara Stampa, Veronica Gambara il cui humus culturale è rappresentato dalla corte, nel nostro caso Aragonese, alla cui vita partecipavano non solo come nobildonne ma anche come cantanti e musiciste. Esse, per quanto possibile nel XVI sec., cercarono di modificare il loro ruolo, proponendosi come soggetti attivi del discorso poetico. Donne colte, conoscevano ed imitavano la poesia petrarchesca, in particolare la nostra Laura scriverà un commento sui primi canti dell’Orlando Furioso.
Veggio il mondo fallir, veggiolo stolto,
e veggio la virtude in abbandono,
e che le muse a vil tenute sono,
tal che l’ingegno mio quasi è sepolto.
veggio in odio ed invidia tutto involto
il pensier degl’amici, e in falso tuono
veggio tradito il malvagio dal buono
e tutto a’ nostri danni il ciel rivolto.
nessun al ben commun tien fermo il segno,
anzi al suo proprio ognun discorre seco,
mentre ha di vari affetti il petto pregno.
io veggio e nel veder tengo odio meco,
tal che vorrei vedermi per disdegno
o me senz’occhi o tutto il mondo cieco.
(Da Il discorso sopra il principio di tutti i canti di Orlando Furioso).
Non vi si riconosce una profonda ispirazione, ma sono versi saggi, applicabili e condivisibili per qualunque epoca storica, non ultima la nostra tormentata. E’ la saggezza femminile, l’attenzione ai tempi, la cura per il mondo.
Chiudo con un’altra breve riflessione della Terracina, a riprova del suo buon senso e della capacità di cogliere l’aspetto essenziale dei suoi e nostri concittadini:
Ben puoi, Napoli mia, ciechi e mal accorti / Sempre chiamar i cittadini tuoi / Che fuor d’ogni saper, d’ogni consiglio / Han la fama e l’onor posti in periglio.