Sulle fragili spalle della scuola italiana ricadono sempre più richieste di prestazioni a volte di altissimo livello, sull’onda emozionale di eventi terribili a cui non si riesce a dare una risposta razionale risolutiva. Che si tratti di sicurezza stradale, di ludopatia, di educazione all’affettività ed alla sessualità tutto viene demandato all’agenzia educativa scolastica. Che in realtà viene poi trascurata nei fatti, con stipendi irrispettosi per la mole di lavoro svolto dai docenti e per lo scarso rilievo che agli operatori del settore viene dato quando non ci sono emergenze. Arrivano dal Ministero progetti che invitano ad attivare percorsi che impegnano in genere qualche ora settimanale se non mensile. Poca cosa, per esempio, rispetto alla terribile vicenda di Giulia. All’orrore del femminicidio si aggiunge un’angoscia ancora più grande. Stiamo cioè parlando di giovani, la vittima e l’assassino, che appartenevano a famiglie normali, giovani universitari pronti ad affrontare con entusiasmo la vita che gli si offriva. Non dissimili dai nostri figli. Cosa fa rabbrividire? Che ogni famiglia potrebbe trovarsi in una situazione simile perché magari non si conosce bene l’animo del proprio figlio, si sottovalutano dei segnali. Bisogna quindi educare all’affettività ed al controllo degli impulsi. Abituare i ragazzi a gestire le proprie emozioni. Non è certo un progettino magari copiato da chissà dove ad aiutare il docente a sbrogliare una matassa così intricata. Ci vogliono conoscenze e competenze. Per esempio psicologi di supporto al singolo alunno e alla sua famiglia, sessuologi che sappiano dare il corretto e preciso nome a ciò che riguarda la sfera erotica. La presenza nelle scuole di team di esperti non deresponsabilizza il docente, che ha un compito ben preciso e che consiste nell’insegnare in primis a descrivere le sensazioni. Il dare corpo linguistico a ciò che si prova nel vedere, sentire, vivere le emozioni è un primo passo verso il controllo, verso il riconoscimento che tutto può essere detto e letto perché le idee siano chiare. Ed è questo un compito che non si esaurisce in un anno o in un ciclo di studi ma che diventa la forma entro cui possiamo inserire qualunque tipologia di contenuti. Le emozioni, gli affetti che ci provoca la lettura di un testo, sia esso letterario, scientifico, matematico, possono essere condivise, analizzate, discusse. In questo la scuola svolge quel ruolo educativo che insieme con quello svolto dalla famiglia può offrire, se non una soluzione a tanta violenza, almeno una valvola di sfogo e comprensione della condizione del proprio animo in quel momento. L’educazione all’affettività ed alla comprensione delle proprie emozioni non è qualcosa d’altro rispetto al curriculare, è una compagna di strada dei saperi cognitivi strettamente detti.
La scuola, nei suoi operatori più sensibili, e sono tanti, si è sempre posta il problema della fragilità dei propri ragazzi. Oggi, alla luce dei tanti orrendi femminicidi, appare chiaro come siano i maschi soprattutto ad essere più fragili ed emotivamente instabili. Le donne sono andate più avanti e più velocemente, dovendo conquistare qualcosa di ben definito: la parità nel mondo del lavoro, la libertà di essere sé stesse e di poter gestire senza controlli autoritari il proprio corpo. I modelli culturali a cui i maschi hanno fatto riferimento sono crollati e crearne di nuovi non è facile in una società fluida come la nostra. Anche qui la scuola conta e tanto, da sempre. Ha lavorato per superare la segregazione formativa, frutto di una visione stereotipata della cultura e delle professioni per cui uomini e donne sarebbero più adatti per determinati settori: gli uomini per gli ambiti tecnico-scientifici, le donne per le professioni di cura e l’area umanistico-sociale. Da tempo la scuola ha fatto propria la promozione dell’uguaglianza di genere, valore cardine dell’Unione europea. Tuttavia i tempi sono ancora lunghi, le singole situazioni possono sfuggire di mano e ci ritroviamo con tragedie come quella di Giulia. La scuola fa, e tanto. Ha bisogno di collaborazione e coordinamento con la famiglia e la società civile, perché non succeda più.