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Violenza Palermo, rifiutiamo l’idea che non ci sia nulla da fare

by Piera De Prosperis
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Orrore: impressione violenta di ribrezzo, di repulsione, di spavento, provocata nell’animo da cose, avvenimenti, oggetti, persone che siano in sé brutti, crudeli, ripugnanti. E’ una definizione da dizionario che si attaglia perfettamente al sentimento che in queste settimane si prova nel sentire gli ennesimi episodi di violenza contro le donne. Troppe volte si ripetono le stesse considerazioni e si propongono soluzioni che, come poi si vede, lasciano il tempo che trovano. Tuttavia gli ultimi episodi meritano alcune riflessioni per quello che questo fenomeno sta diventando. Pur rimanendo nella sostanza un atto di inaudita inciviltà, sta cambiando pelle per adattarsi ai tempi nuovi. Nulla di nuovo sotto il sole ma se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.

Nella nota vicenda dello stupro di Palermo avvenuta ad opera di un branco di sette maschi su una ragazza di diciannove anni, fatta ubriacare e violentata a turno, l’elemento di novità è la comunicazione dell’avvenuta violenza attraverso messaggi audio e video ad amici, forse della stessa risma. Cumpà l’ammazzammu! ti giuro a me matri, l’ammazzammu, ti giuro a me frati, sviniu… Sviniu chiossai di na vota… A parlare è il minorenne che si vanta di ciò che ha fatto, salvo poi a distanza di pochi giorni pentirsi e chiedere perdono per poi continuare a postare frasi incredibili del tipo: “Arriviamo a 1000 follower così potrò fare la live e spiegarvi la situazione com’è andata realmente”. Ho usato l’aggettivo incredibili, ma ciò che avviene in rete, nella realtà virtuale che dà potere a chi magari visibilità nella vita reale, con le sue sole forze, non l’avrà mai, è ben noto e condiviso da miliardi di giovani in tutto il mondo. Senza contare i video che pure girano sulla vicenda sempre postati in quella notte di orrore. Che fare? Non ho risposte se non ipotesi. E se la scuola invece che vietare i cellulari in classe ne facesse strumento di educazione. Certo addossare ancora questa responsabilità all’agenzia educativa è un ulteriore aggravio sulle spalle di chi lavora tanto ed è sottopagato. Probabilmente dovrebbe cambiare del tutto il sistema: il cellulare non più come elemento di trasgressione, qualcosa di vietato, spento e messo sulla cattedra, da utilizzare solo in solitaria o in branco per stupire ed arrivare a 1000 follower. Trasformare il cellulare in un banale medium di ricerca, contatto, rete virtuosa. Depotenziare il cellulare, in sostanza. Ricordo l’incubo dei viaggi di istruzione, quando il senso della partecipazione per i ragazzi era ubriacarsi, sfuggire al controllo, fare scorribande negli alberghi e provocare danni. Oggi, mi sembra che le cose siano molto diverse. Le gite, anzi i viaggi di istruzione, come è più corretto definirli, sono inseriti in progetti europei, in programmi condivisi. Sono stati depotenziati della loro carica esplosiva. Operare lo stesso percorso con il cellulare, non lasciando i ragazzi soli con un oggetto che ha una forza devastante incredibile, specie in quella fascia di età in cui la definizione del sé passa attraverso il confronto e l’acquisizione di comportamenti adulti.

Operare sulle giovani coscienze, avviare quel processo di costruzione di uomini e donne che nel futuro non cerchino sopraffazione e violenza ma collaborazione e rispetto. Forse si sta già facendo, forse il processo è troppo lungo perché non lasci ancora dietro di sé una scia di dolore e sofferenza.

Sta di fatto che sono i nostri figli, i nostri alunni questi mostri e dobbiamo con tutte le nostre forze rifiutare l’idea che non ci sia niente da fare.