L’inaugurazione del Sito archeofluviale demaniale di Lòngola a Poggiomarino, avvenuta nel Febbraio del 2018 si svolse con un successo inaspettato che vide confluire circa mille visitatori nei primi due giorni di sua apertura al pubblico. A distanza di circa un anno e mezzo il Comune di Poggiomarino coraggiosamente riesce a tenere aperto il Parco ogni fine settimana. Ora tocca a noi di Gente e Territorio domandarci per conto dei nostri lettori se Lòngola vale una visita. Il SI’ lo scriviamo subito e con lettere maiuscole. E vi diciamo perché.
Lòngola – il cui nome riecheggia gli spazi vasti della sua campagna – è ubicata nell’agro sarnese verso i confini sudorientali estremi di Terra di Lavoro. La sua grassa e ferace campagna è solcata sia dalla linea TAV di monte Vesuvio che dall’autostrada Caserta-Salerno. In quell’area geografica si confrontano i confini settentrionali del Principato Citra con quelli meridionali del Principato Ultra. Sono confini definiti con contese e battaglie svoltesi per secoli lungo le sponde ripide e franose del Sarno. Esso è un confine geografico naturale tutto sommato modesto, ma è stato anche una frontiera di culture diverse. Quella bizantina si arresta sulla sua destra idraulica “napoletana” e quella longobarda sulla sua sinistra “salernitana”. D’altra parte, il fiume Sarno, lungo meno di venti chilometri, bagna ben tre provincie. Esso infatti nasce nella Provincia di Avellino, attraversa quella di Salerno per poi sfociare in quella di Napoli, di fronte alla Petra Herculis, noto oggi come Scoglio di Rovigliano, dove arriva nel mare esausto e inquinato. Ma questa è altra Storia.
Il casello autostradale più vicino a Lòngola è quello di Sarno, dove si esce lasciando da una parte l’antica caldera vulcanica del Somma. Dalle sue viscere si generò il Vesuvio, il vulcano più famoso al mondo, in una apocalittica notte del 79 dopo Cristo, raccontata da Plinio il giovane.
Ma non è Sarno la nostra meta, sebbene una sosta Sarno la meriterebbe. Intanto è la patria di uno dei cavalieri della disfida di Barletta, Mariano Abignente. Egli fu uno dei dodici dei grandi cavalieri di Ettore Fieramosca, che nella cosiddetta “Disfida di Barletta” tolsero agli italiani i “paccheri dalla faccia” verbalmente affibbiati(ci) da un incauto e ciarliero cavaliere francese nei primi anni del ‘500. Sarno ha immortalato il proprio eroe nel bronzo, proprio davanti al monumentale Municipio. E Sarno la meriterebbe davvero una visita, soprattutto per i tesori che nasconde, ritrosa e riservata, tra i suoi palazzi e le sue vecchie strade, con i suoi borghi storici scampati alla speculazione edilizia degli anni ’60 del Novecento. Erano gli anni del “Boom economico”. Ma era, ahinoi, un’altra Italia, povera come sempre, ma speranzosa nel futuro come mai prima. A Sarno dedicheremo spazio in Touring.
La campagna che attraversiamo veloci verso Lòngola era famosa per la produzione del pomodoro San Marzano. Esso sembra voler ritornare a nuova vita, dopo anni vissuti da desaparecido. Non possiamo che fare il tifo dopo esserci rassegnati a comprare “ceraselle” rosso-fuoco-senza-sapore oppure pomodoroni pieni d’acqua e di … “vacanterìa”. Un vero e proprio insulto alla tradizione campana.
Il tempo di pensarci e arriviamo al Parco Archeologico Naturalistico di Lòngola. Esso è esteso circa tre ettari, in riva a un Sarno ancora incredibilmente pulito, tant’è che – se si è fortunati – si possono vedere le lontre italiche, ormai una rarità zoologica, sguazzettare laboriosamente nell’acqua. Il parco accoglie il visitatore con una serie di casotti lignei dalle linee moderne e sobrie. Le capanne antiche, ricostruite con cura utilizzando giunchi e canne della zona, sono visitabili. Esse, ubicate in zone lacustri contese all’acqua, raccontano la vita dei nostri progenitori campani di circa tremila cinquecento anni fa. Forse i Sarrastri, un popolo poco conosciuto ricordato da Virgilio nell’Eneide. Le capanne sono l’attrazione principale del Sito Archeofluviale che è davvero godibile, da soli o in gruppo. E, fatto raro, il parcheggio non è un problema.
La sola cosa che manca è un posto di ristoro interno al Parco, che ricreerebbe anima e corpo. Il lettore però sappia che la escursione potrebbe concludersi al meglio in uno dei ristoranti della zona tra: fumanti maccheroni al ragù di capra, di una delicatezza sorprendente, frittatine di gamberetti di fiume e – udite! udite! – rane fritte o anche, più prosaicamente, anguille fritte. Ultimo avviso: se per caso il nostro lettore non ha una app per ricerca ristoranti … stia tranquillo, si faccia guidare dal naso.