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Parliamoci chiaro, se il 24 febbraio Putin non avesse invaso l’Ucraina il governo Draghi sarebbe già stato da tempo un ricordo del passato. È stata l’emergenza guerra, in aggiunta a quella pandemia ed a quella della crisi economica, a convincere i partiti, già pronti ad incrociare le lame in vista del voto politico, a rinviare le ostilità. Man mano che si avvicina la scadenza elettorale però, le esigenze propagandistiche diventano sempre più difficilmente contenibili. Abituiamoci perciò ad un crescendo di fibrillazioni dentro e tra i partiti, spesso fondate su pretesti artificiosi. Come pupi siciliani sono ormai a suonarsele sulla scena del teatrino della politica. Tireranno avanti fino a quando non cadrà il governo; o magari lo lasceranno lì per gli affari correnti. Ma ci può essere ordinarietà di governo nel contesto storico attuale?
Facciamo ora un’ipotesi ad absurdum, che tuttavia non è ascrivibile al periodo ipotetico del terzo tipo, piuttosto del secondo tipo, quello della possibilità. Una possibilità magari remota, magari astratta, ma pur sempre collocabile nella sfera del verosimile.
I 5Stelle di Conte, un po’ per mediocre astio personale dell’avvocato del popolo verso Draghi, un po’ nel tentativo di ricordare agli elettori che furono il glorioso partito degli sfasciacarrozze, decidono di uscire dal governo. Il pretesto decidetelo pure voi, c’è ampia scelta; magari consulteranno un qualche oracolo sondaggista per capire qual è quello che, agli occhi dei propri potenziali elettori, meglio si presta allo scopo. Dunque il M5S esce dal governo e passa all’opposizione, o lo appoggia dall’esterno, cioè si tiene le mani libere rispetto alle decisioni che Draghi dovrà pur prendere. Al Senato l’asticella della maggioranza è a 161 voti, l’attuale governo ne può contare 246. Se ne perdesse 61, quelli di Conte, gliene resterebbero 185. Pur sempre una maggioranza, ma il pallino passerebbe nelle mani della Lega di Salvini.
Dal canto suo il leader della Lega, che è il vero campione degli sfasciacarrozze, l’originale, non vorrà lasciare certo solo al M5S il posizionamento antigovernativo. Comincerà a battere i pugni sul tavolo, a mettere il veto ai provvedimenti meno digeribili dal suo elettorato ed a porre aut aut al Capo del Governo a giorni alterni. Non potrà durare, alla fine anche la Lega mollerà il Governo, che a questo punto, perdendo altri 61 senatori, si ridurrà a 124; insufficienti, come si è visto, per una maggioranza.
Il Governo a questo punto cadrà, a meno che non maturi anche dentro la Lega, com’è già avvenuto nel M5S, una scissione con una parte dei suoi senatori che resterebbe in maggioranza. Ce ne vorrebbero una quarantina ed è inverosimile che un’eventuale spaccatura nella Lega possa essere di tale portata. Attenzione però, al Senato siedono anche 39 componenti del Gruppo misto, 13 di un gruppo che aggrega varia umanità (Uniti per la Costituzione – C.A.L. – Alternativa – P.C. – Ancora Italia – Progetto SMART – I.d.V.) e due senatori a vita non collocati in alcun gruppo. In tutto fanno 54 senatori, potrebbe non essere impossibile per Draghi – e per Mattarella – mettere insieme tra scissionisti della Lega e senatori vari i numeri necessari a reggere il governo. Avremmo dunque un governo sostenuto da una maggioranza composta da Forza Italia, ex-Leghisti, Centristi, Pd e Sinistre. Fragile certamente, ma forte di maggiore coesione rispetto all’attuale maggioranza.
È uno scenario decisamente improbabile, ripetiamolo, ma cosa succederebbe se arrivassimo a tanto? Che avremmo un’area di governo che di per sé romperebbe lo schema della seconda repubblica, Centrodestra Vs. Centrosinistra.
Com’è del tutto evidente un tale – improbabile – scenario cambierebbe radicalmente l’assetto politico del nostro Paese. Ora ciò non accadrà al 99%, non ce ne sono i tempi, ma la storia – ce lo insegnò Hegel – è astuta. Ed anche tenace, aggiungo io nel mio piccolo. Scava e scava sotto traccia, in superficie non si vede, ma alla fine spunta fuori. Magari spunterà nella prossima legislatura.