Scrivo ancora una volta dal pianeta dei pensionati della Scuola e questa posizione privilegiata mi consente di discutere a cuor leggero di una questione che sta cambiando in maniera sostanziale la quotidianità di chi vive la scuola e non solo: l’Alternanza Scuola-Lavoro.
Di cosa si tratta precisamente? L‘Alternanza Scuola-Lavoro è un’opzione didattica che prevede l’utilizzo della risorsa “realtà lavorativa” come ambiente di apprendimento. In questo modo i ragazzi apprendono in un ambiente diverso dal chiuso dell’aula e acquisiscono competenze spendibili nel mondo del lavoro, in sintonia con quanto la realtà economica del territorio richiede. Perché tale progetto sia credibile è quindi necessaria, in premessa, un’attenta analisi dei bisogni del territorio. La scuola deve poi adeguarsi ad essi proponendo, nella didattica, percorsi che consentano agli alunni di sviluppare, accanto alle tradizionali competenze valutate in aula, gli skills richiesti dal locale mercato del lavoro. Alle più note e consolidate metodologie pedagogiche se ne affianca perciò un’altra: quella del saper fare, che consente di valorizzare attitudini e curiosità, contrastare il fenomeno dell’abbandono scolastico rendendo più “pratico” il sapere e stimolare la creatività e l’imprenditorialità inducendo i giovanissimi ad approcciare il concetto di start-up.
L’Alternanza Scuola-Lavoro è stata introdotta per la prima volta nel 2003, ma è divenuta obbligatoria solo nel 2015, nell’ambito della cosiddetta riforma della Buona Scuola che ha coinvolto nell’esperienza dell’Alternanza sia i licei (per 200 ore in totale) sia gli istituti tecnici e professionali (per 400 ore in totale).
Lodevoli ed ineccepibili risultano le intenzioni del legislatore: se infatti negli istituti tecnici e professionali la pratica è essenziale per il percorso di studi (che è direttamente professionalizzante), nei licei l’esperienza in azienda consente ai ragazzi di capire, in anticipo, a quali difficoltà andranno incontro una volta terminati gli anni di studio.
Il sistema di Alternanza Scuola-Lavoro ha ovvi riscontri nel resto d’ Europa. In particolare, il modello di riferimento risulta essere quello tedesco: in Germania, infatti, al termine del ciclo di Scuola dell’obbligo (che è articolato diversamente rispetto a quello italiano, cfr. https://www.genteeterritorio.it/liceo-breve-sogno-realta/) lo studente può scegliere se iscriversi all’università, seguire una scuola professionale o affrontare il sistema duale (scuola + apprendistato lavorativo). Le ore di scuola, dodici nell’arco della settimana, sono utilizzate in gran parte come supporto all’esperienza in azienda, che si svolge secondo un contratto di apprendistato part time stipulato fra lo studente e l’impresa. Nella maggior parte dei casi lo studente-apprendista viene poi assunto dall’azienda che lo ha formato. In questo sistema i punti forti sono due: l’acquisizione di una maggior consapevolezza da parte dello studente rispetto a ciò che vuole fare “da grande” e l’inedito interesse delle imprese verso il mondo della Scuola.
In Italia invece la prospettiva appare assolutamente diversa, direi quasi opposta: non è la Scuola funzionale alla relazione con le realtà lavorative esterne ma il contrario. Aziende interessate a contratti di apprendistato non ce ne sono, anzi non ci sono affatto aziende interessate ad assumere dipendenti perché spesso si tratta di imprese piccole e piccolissime oppure a conduzione familiare, soprattutto al Sud. La crisi frena l’espansione di quelle esistenti e il peso di fisco, burocrazia e costo del lavoro ostacola la nascita di start-up. Inoltre, la scelta del percorso formativo dei giovani, il più delle volte, viene demandata agli adulti. A genitori che tendono a cercare la scuola più sicura, l’indirizzo che più favorisca un futuro professionale prestigioso per i loro figli oppure l’istituto in cui si verifichino meno episodi di bullismo o microcriminalità. L’interesse del ragazzo passa in secondo piano. Ho avuto, fra i miei alunni al liceo, giovani con spiccati interessi artistici e notevoli qualità espressive nel disegno ai quali era stato negato il liceo artistico perché ritenuto dai genitori “troppo libero, frequentato da persone poco raccomandabili…”.
Se negli istituti professionali e tecnici l’alternanza consente di acquisire specifiche conoscenze e competenze professionali legate al percorso di studi, mi domando se, con le premesse che connotano il nostro Paese, un’alternanza scuola-lavoro, nei licei, abbia davvero ragion d’essere. La mia impressione è che si brancoli nel buio: si progettano iniziative disparate, a volte agganciando l’esperienza ai viaggi d’istruzione con motivazioni di una sottigliezza argomentativa degna dei migliori sillogismi. Criticare è facile, ma trovare il bandolo della matassa, la lama di luce che squarcia il buio dell’inefficacia è più difficile. Proviamo a fare delle ipotesi:
- Si potrebbero programmare fin dal terzo anno percorsi in partenariato con musei, biblioteche, soprintendenze di settore ed enti di ricerca , in cui le discipline possano trovare applicazione (es. schedatura dei testi, formulazione di approfondimenti per le mostre, costituzione di guide per visitatori, elaborazione di opere in 3D, esperienze di giornalismo, stage in laboratori chimici per le materie scientifiche…), piegando il curricolo di scuola alle competenze che il partenariato richiede e non il contrario;
- Si potrebbe trasferire la genesi di questa esperienza al di fuori delle procedure della Scuola, lasciando che gli studenti si organizzino autonomamente e valorizzando la loro capacità di scelta del proprio futuro.
Di fondo ritengo che la strategia vincente di qualunque iniziativa della Scuola sia, ancora una volta, la programmazione ed in questo dovrebbero essere i consigli di classe, cioè i professori (che davvero conoscono gli studenti!), ad avere la parola. Gruppi di lavoro, cabine di regia e consessi più o meno istituzionali possono fare proposte, ma perché l’alternanza sia davvero efficace nella formazione dello studente solo i docenti del corso possono essere determinanti. Sono infatti gli unici a sapere se un’attività rientri negli effettivi interessi e nelle possibili future scelte lavorative dei loro ragazzi.
Pressappochismo, interessi privati, disaffezione al lavoro sono i mali della Scuola di oggi e così anche un progetto come l’Alternanza Scuola-Lavoro, in sé interessante, è diventato una zavorra mal digerita da tutti i suoi operatori. Non ultimi gli studenti stessi, che si sentono strumentalizzati ma anche presi in giro…e gli si può dare torto?
Piera De Prosperis