Le parole sono la rappresentazione dei pensieri, sono atti compiuti o itinerari da costruire. Le parole non sono solo forma, ma sostanza; sono il divenire realizzato. Tante volte le parole suonano a vuoto o si sentono ripetere senza convinzione, con stanchezza, infilate in discorsi altrettanto privi di direzione. Poi ci sono quelle parole potenti, perché utilizzate in maniera appropriata, non stanca, che balzano dai segni che le realizzano e diventano materia: pensieri materializzati che emergono dalla esperienza. Parole che rimangono impresse, perché attaccate al fare, all’avvenuto͘ Quelle sono le “parole generative”, quelle cioè che alimentano rapporti, relazioni, legami; sono quelle parole che si trasformano in una strada da percorrere o da evitare, sono quelle le parole da utilizzare con i giovani.
“Speranza” è una parola usata ed abusata, ma è una di quelle parole che non mi è mai piaciuta, perché la speranza è una parola passiva͘ Quando “speriamo” auspichiamo che qualcosa accada o non accada, noi utilizziamo parole della passività e le consegniamo ai nostri giovani. E se, anche la speranza fallisce, come ultima dea, rimane davvero poco da fare. Alla speranza preferisco di gran lunga la testimonianza, il gesto educativo, una esperienza di luce ed accoglimento: quando un maestro parla, le cose, grazie alle sue parole, escono dal buio, diventano materia illuminata͘ Le cose incominciano a correre, acquistano all’unisono, una direzione ed un senso. Mi trovo perfettamente d’accordo con Carron, quando dice che “in fondo, il compito educativo è mettere in luce la libertà”, non la speranza, ma la libertà, concetto dinamico e personale che presuppone il non conformare la vita a valori preesistenti, ma un agire continuo per praticare, realizzare il senso che ognuno le attribuisce. Dunque, con le ragazze ed i ragazzi, noi educatori ed insegnanti, dobbiamo sempre agire per generare in loro il desiderio͘ Ecco le parole generative: “desiderio”, un’altra fra queste. Proprio così, è il desiderio che illumina, accende la vita. Gli insegnanti siano propulsori di desideri, e la scuola possa sempre più diventare un luogo dove far sorgere la vita, lo stimolo ad incontrarla, costruirla, il desiderio di percorrerla, sempre e comunque. E torniamo al tema della testimonianza: se le ragazze ed i ragazzi non scorgono nei loro insegnanti, persone in cui la vita è realizzata, allora sarà inutile parlare di obiettivi e desideri, perché non troveranno conferma nella esperienza degli adulti. Chi educa deve essere “proposta”, altra parola generativa. Chi educa mostra una strada, offre possibilità, con l’esserci, di costruire un percorso. La scuola deve essere innanzitutto questo: un luogo dove l’esserci, l’incontrarsi accenda fuochi, desideri. Il sapere è dinamico, mai compiuto, mai scontato. Il desiderio va a braccetto con la curiosità, che stimola nuovi percorsi, soluzioni alternative e personali, mai ripetitive. La comunità adulta che ha chiara la sua responsabilità educativa e genitoriale, è una comunità in movimento, che si fa proposta, che offre alternative, che accende fuochi, che stimola curiosità. Una comunità adulta generativa è quella che riesce a trasmettere le ragioni del proprio esistere, non fornendo risposte, sempre le stesse, ma domande che diventano una strada possibile per tutti. La scuola deve puntare sul valore delle singole soggettività dei ragazzi, io non ho dubbi al riguardo. Bisogna far superare a ciascuno il livello delle pulsioni e portarlo al livello delle emozioni per educarli a scoprire la risonanza emotiva che gli eventi del mondo, provoca dentro ciascuno. Per educarli a riconoscere il bene ed il male, il fine dal mezzo. Per guidarli, non a sperare, ma ad essere consapevoli. “Consapevolezza” è la parola che può fungere da conforto costruttivo. I greci pensavano che non si muore perché si è malati, ma si è malati perché si deve morire. Consapevolezza per acquisire il “senso del limite” che non limiti la vita, ma che significhi l’abbandono alla speranza. E durante questa interminabile bolla esistenziale generata dalla pandemia, noi adulti abbiamo il privilegio e la grande responsabilità di accompagnare i nostri ragazzi, senza deliri paternalistici, a trovare una strada che si delinei in opportunità per aprire strade che superino il confinamento fisico e li trasformino in costruttori di senso.