La sinistra, tutta la sinistra dell’Occidente, non solo quella italiana, si trova davanti ad un bivio, deve scegliere tra voti e valori. Laddove e allorquando resta fedele ai suoi valori nelle urne le busca, viceversa laddove ed allorquando vince le elezioni lo fa avendo abbandonato di fatto i propri valori. È triste, penoso, specie per chi ancora ‘si sente’ di sinistra, ma questo è.
La settimana scorsa la coalizione di centrosinistra ha vinto in Danimarca, di poco ma ha vinto. Evviva evviva. La leader del Partito Socialdemocratico – perno di una coalizione che comprendeva anche il Partito popolare socialista, l’Alleanza rosso-verde e il Partito social-liberale – Mette Frederiksen, aveva impostato la campagna elettorale, qualora fosse stata confermata al governo del Paese, sulle problematiche ambientali e su queste ulteriori ‘promesse’: accoglienza zero dei rifugiati, salvo che per gli Ucraini in fuga dalla guerra – ma quelli sono bianchi… -, trasferire i richiedenti asilo in Ruanda, togliere i permessi di soggiorno ai Siriani provenienti da regioni considerate sicure, trasferire i detenuti stranieri in carceri del Kosovo. Un menù che da noi neanche Salvini ha osato proporre agli elettori.
Grazie a questo progetto politico il Partito Socialdemocratico danese ha avuto il suo miglior risultato da vent’anni a questa parte. La bandiera della Frederiksen è quella della sinistra, giusto, ma i contenuti? Analoghi ragionamenti si possono fare per il successo di Melenchon in Francia, sia pure su un programma non così spinto a… destra, ma quasi. L’impressione è che molti a sinistra, tenuti ai margini o esclusi dall’area di governo per decenni, una volta raggiunto il potere abbiano preso a far coincidere la propria permanenza al governo o la sua conquista con ‘una cosa di sinistra’ e ciò che ve li allontana come di destra. E se, per conservare o raggiungere il potere, è funzionale abbracciare i valori e le parole d’ordine della destra facendoli propri, che ben venga. Gli stessi obiettivi della destra, detti da uno che ha il distintivo di un partito sedicente di sinistra, cambiano di segno.
Né serve a sciogliere i nodi il riferimento alla favolosa classe operaia. In tutto l’Occidente, quella che in USA chiamano la white working class – cioè in quel Paese la classe operaia bianca che godeva ed in parte gode ancora di privilegi rispetto ai neri ed agli immigrati in genere, nel resto dell’Occidente la classe operaia autoctona – non accetta la crescita sociale degli ‘ultimi’, dei veri ultimi, la parità dei diritti con i colleghi immigrati o di diversa etnia, e appoggia nelle urne la destra. Il trionfo della senatrice Isabella Rauti nell’ex roccaforte rossa di Sesto San Giovanni è eloquente. Negli anni Trenta, nella Germania nazista, la classe operaia ‘ariana’ sostenne il Führer fino alla sua ultima ora. Per recuperare i suoi voti a Sesto San Giovanni e altrove la sinistra dovrebbe sposare le pulsioni della classe operaia autoctona contro gli immigrati o i neoitaliani?
L’ultima trovata dei progressisti italiani per farsi coraggio dopo la vittoria della Meloni è di iscrivere di ufficio al proprio schieramento il M5S di Giuseppe Conte, in realtà un partito populista e sovranista, refrattario ai valori storici della sinistra.
Mettiamo la questione ucraina. L’Italia, come tutto l’Euroccidente, sta pagando un costo elevato per il suo sostegno al popolo ucraino: l’inflazione è ormai a due cifre, il che significa che il potere di acquisto dei più poveri si sta riducendo drasticamente, le bollette sono insostenibili, nell’imminente inverno molti non potranno più permettersi il riscaldamento nelle proprie case, le fabbriche, i ristoranti, gli alberghi chiudono con conseguente incremento della cassa integrazione e del debito pubblico. Stare a fianco del popolo invaso e massacrato, che si riconosce nei valori della libertà e della democrazia e non intende sottostare ad un’autocrazia dispotica, costa. Una persona sia pure vagamente di sinistra, o semplicemente impregnata di valori umani, non avrebbe dubbi sulla parte per la quale schierarsi e sarebbe ben disposta a rinunciare a qualcosa di suo per non lasciare quel popolo sotto le grinfie dell’invasore, il sovran-populista no. Per lui vengono ‘prima gli Italiani’, gli Ucraini si difendano da soli se ci tengono tanto alla loro libertà ed indipendenza; lui, il sovran-populista, contro la Russia non ha niente, specie se poi essa ci desse il suo prezioso gas.
Il ‘prima gli Italiani’, fino a qualche anno fa giustamente fatto proprio dalla Lega di Salvini, che con la sinistra proprio non ci azzecca, è oggi e fina dalla sua nascita ampliamente condiviso dal M5S di Conte, salvo oggi una spolverata di pacifismo, tanto per renderla gradevole all’olfatto della sinistra.
All’ambigua manifestazione per la pace di Roma di sabato scorso, in cui neanche si è intravista l’ombra di una bandierina del popolo aggredito, Conte è stato osannato nel nome del ‘cessate il fuoco immediato’ e del ‘basta invio delle armi agli Ucraini’. A nessuno dei festosi partecipanti saltava per la mente che a far cessare il fuoco in poche ore basterebbe che l’armata russa si ritirasse dal territorio ucraino occupato in violazione del diritto internazionale. Il cessate il fuoco dipende infatti solo dai Russi, se loro la smettono di bombardare le città ucraine e si ritirano quanto meno nei confini del ‘14, la guerra finisce ipso facto, o per lo meno c’è una tregua. Se gli Ucraini cessano il fuoco, finisce la loro libertà e finisce l’Ucraina. Ci vuole tanto a capirlo?
E una volta cancellata l’Ucraina dagli atlanti geografici, toccherebbe alla Moldavia, in cui i filorussi già stanno scendendo in piazza per chiedere l’intervento dell’armata di Putin in loro difesa, e poi ai Paesi baltici, in un domino che condurrebbe diritto alla terza guerra mondiale. La pace si difende fermando Putin non disarmando gli Ucraini, ma da quest’orecchio i nostri ‘pacifisti’ non ci sentono!