Tu puoi sentirti molto bene, in forma, eppure avere dentro di te un virus che sta incubando e che si manifesterà in futuro. Succede anche agli organismi sociali e politici. Se volessimo misurare la temperatura corporea del Governo Meloni la troveremmo nella norma. L’organismo di governo è in discreta se non buona salute. Se però lo andassimo a sottoporre alle analisi cliniche, ci accorgeremmo che qualche valore non è del tutto rassicurante. Nel prossimo autunno la febbre potrebbe salire a causa di un qualche agente patogeno che si sta insinuando nel corpo della compagine di governo.
Fuor di metafora. Lab21.01 di Roberto Baldassari, nell’ultimo suo rilevamento per Affaritaliani.it e La piazza, ha sondato gli Italiani chiedendo loro se pensano che il governo Meloni arriverà a fine mandato e il 73,4% ha risposto affermativamente. Inoltre, il 60% circa ritiene che il Governo abbia mantenuto quanto indicato nel programma presentato lo scorso anno agli elettori.
Tutti i sondaggi registrano un’ampia soddisfazione degli elettori italiani per l’operato della premier, che per la grande maggioranza degli istituti di ricerca, a pochi giorni dal suo primo compleanno a Palazzo Chigi, raccoglie ancora un tasso di fiducia verso la sua persona superiore al 50%. Non è poco, specie in un Paese come l’Italia facile ad illusioni e a repentine delusioni. È appena il caso di ricordare che i premier che l’hanno preceduta, ad un anno dal loro insediamento, godevano di una fiducia non superiore al 40% ed avevano cominciato a calare già dopo i primi mesi di attività.
Godono di discreta salute anche i partiti che sostengono il governo. La media dei sondaggi tra tutti i principali istituti dà FdI al 29%, la Lega al 9% e FI all’8% per un totale del 46%. Se a questo 46% si aggiungono i decimali dei cespugli di centro che appoggiano la maggioranza, arriviamo vicino al 50%; il che, col sistema elettorale vigente, significa che, se si tornasse domani alle urne, avremmo la conferma sicura dell’attuale maggioranza.
Tutto bene dunque per il Governo? Apparentemente sì, ma attenzione, qualcosa comincia a incrinarsi nel rapporto tra maggioranza e paese reale.
Restiamo al rilevamento di Lab21.01. L’istituto chiede al suo campione quali pensa che debbano essere le priorità del governo e la risposta vede al primo posto il ‘lavoro-salari troppo bassi’, poi ‘l’inflazione-caro prezzi’, quindi ‘l’immigrazione clandestina’.
Sono esattamente i temi sui cui l’opposizione sta puntando da qualche mese, con la proposta del salario minimo per legge a nove euro l’ora, con la denuncia dell’erosione del potere d’acquisto che colpisce specialmente i redditi più bassi e con l’evidenziazione dell’inefficacia delle politiche del governo sul tema dell’immigrazione. Insomma, la fiducia degli elettori nella maggioranza è ancora solida, ma la loro attenzione si sta spostando sui temi sui quali l’opposizione sta dando battaglia.
Andiamo ora a vedere quali sono, a parere del campione di Lab21.01, i punti di forza e di debolezza del governo. Il punto di forza su cui il campione più converge è la ‘politica internazionale’, sulla quale però – va detto – c’è una condivisione di fondo con le principali forze di opposizione, tranne il M5S e la sinistra radicale. Il punto di debolezza segnalato più frequentemente dal campione è ‘bollette-benzina-spesa alimentare’, detta in altri termini: i soldi che non bastano per arrivare a fine mese, ovvero la povertà. È in questo contesto che si inserisce in maniera devastante il taglio del reddito di cittadinanza.
In ogni esperienza di governo, dal livello nazionale a quello locale, c’è sempre una scelta, un episodio, un incidente, una circostanza non gradita ad una parte dei cittadini, che diventa il nucleo intorno al quale a poco alla volta si aggregano tutti i malumori e le insoddisfazioni, fino a diventare il grimaldello col quale alla fine le opposizioni scardinano gli equilibri. Per Berlusconi, ad esempio, fu l’impennata dello spread, per Renzi la riforma della costituzione. Il taglio del reddito di cittadinanza può diventare per il Governo Meloni il luogo politico di aggregazione del malcontento sociale. Ad esso, come per forza centripeta, potrebbero aggiungersi i vari malesseri presenti nel Paese, dal salario minimo per legge negato dal Governo, al Sud tradito con l’autonomia differenziata, alla sanità tagliata, alla scuola de-finanziata, etc.
Mentre scriviamo, trecento ex percettori del reddito di cittadinanza a Napoli hanno tentato di raggiungere l’autostrada col proposito di bloccarla. Sono stati fermati dalle forze dell’ordine, non senza qualche tafferuglio. Analoghe proteste sono segnalate a Palermo ed a Cosenza. L’impressione è che sia solo l’inizio e che non resteranno episodi isolati. Il prossimo autunno si annuncia movimentato.
Per evitare che la protesta sociale diventi una miscela esplosiva il governo dovrebbe disporre, oltre che di una strategia idonea, di grande coesione interna e di capacità di comunicazione politica. Quanto a quest’ultima non c’è dubbio che alla premier non manca, il problema sono i suoi partner di governo e di partito. Non c’è giorno che Salvini non tiri fuori un distinguo, una sottolineatura, una critica su cui cerca di recuperare consensi a scapito dei FdI e di FI in vista delle elezioni europee di primavera; e FI, che ne paga il costo principale, comincia a reagire con nervosismo. Ma il problema più grande la Meloni se lo trova nel suo partito e addirittura nella sua famiglia. Francesco Lollobrigida, suo ministro e cognato, rilascia con frequenza imbarazzante dichiarazioni ai confini del surreale. La Russa non riesce a darsi un contegno rigorosamente istituzionale, come richiesto dal suo ruolo. E poi, quel Giovanni Donzelli, responsabile nazionale dell’organizzazione di FdI, che ne combina una più del demonio.
Né c’è da immaginare che dietro queste baggianate ci sia chissà quale sottile strategia comunicativa, per la quale la premier porterebbe avanti un programma di governo di fatto draghiano, con venature addirittura di sinistra – vedi il prelievo sui superprofitti delle banche e la riduzione del cuneo fiscale, misure da tempo chieste dalla sinistra e da essa non realizzate – mentre i suoi colonnelli politici recupererebbero il disorientamento dell’elettorato di destra con sottolineature identitarie. No, qui c’è solo confusione e, me lo si consenta, stupidaggine.
La gente se ne accorge. Alla domanda “Secondo Lei i casi ‘Del Mastro’, ‘Santaché’, ‘La Russa’ hanno debilitato l’immagine del Governo Meloni?” il 75% del campione risponde sì.
Chiudiamo con il consenso sui partiti. La media dei sondaggi degli istituti di ricerca italiani, come si è visto sopra, dà la somma dei partiti dell’attuale maggioranza vicina al 50%. Sull’altro fronte, il Pd è accreditato oggi al 20%, il M5S al 15,8%, Azione al 3,6%, Sx/Verdi al 3,1%, Italia Viva al 2,9% e Più Europa al 2,4%. Se sommiamo le percentuali dei partiti di opposizione, abbiamo nel loro insieme il 47,8%. Stiamo lì, somma dei partiti di maggioranza e somma di quelli di opposizione fanno pari. Il vantaggio della maggioranza sta nella divisione dell’opposizione.