L’Autore è Presidente di SVIMEZ, Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno.
Se si vuole affrontare il tema della rigenerazione urbana a Napoli, così come nelle altre aree metropolitane del Mezzogiorno, da Palermo a Bari, non si può non partire dalla contraddizione di queste città, che appartengono al mondo sviluppato rappresentandone, però, la marginalità. Le città meridionali nel primo decennio del XXI secolo hanno perso il 3,3% della popolazione, mentre quelle del Nord hanno fatto registrare un incremento del 4,8%. Ecco perché ogni discorso strategico sul futuro delle città va collocato nel contesto di quel “Rinascimento Meridionale”, che significa mettere in circuito risorse e imprenditorialità già esistenti e utili a salvaguardare un patrimonio che si sta depauperando: quello dei giovani, in particolare laureati, che fuggono altrove.
Un’efficace rigenerazione urbana postula strategie integrate e misure volte, contestualmente, alla riqualificazione edilizia ed ambientale del tessuto sociale e produttivo e al perseguimento di un sistema urbano più̀ vivibile e inclusivo delle città meridionali, oggi in grave crisi demografica e produttiva. Senza sacrificare, ma anzi valorizzando, quei caratteri peculiari delle città mediterranee legati alla presenza di giacimenti storici e culturali che ne costituiscono un fattore di attrattività̀ e un connotato identitario irrinunciabili. Il tema della riqualificazione di intere parti di città e di aree metropolitane sta assumendo un ruolo centrale nell’ambito delle strategie nazionali, a partire dal PNRR, ma con risultati finora piuttosto deludenti, particolarmente critici al Sud.
A Napoli, in particolare, serve una strategia chiara e annunciata, imperniata su almeno tre fronti, che, messi finalmente assieme, possano dar corpo a quel “Piano del lavoro” indispensabile per fare i conti con il dato della Campania ultima nel Paese per tasso di occupazione e prima per disoccupazione, nonostante la città capoluogo galleggi con il vento in poppa del turismo molecolare che la invade. Vi è, invece, silenzio, se non inerzia, per quel che riguarda le preesistenze strategiche, a partire dal porto senza retroporto e senza zona doganale interclusa, che dovrà manovrare nella Zona Speciale Unica meridionale. L’avvio, e non il semplice annuncio, di un rapido progetto di bonifica e infrastrutturazione dell’area retroportuale, così come l’adeguamento della sua infrastrutturazione, sarebbe finalmente un’ottima notizia, tanto più se coincidesse con l’apertura di quel secondo fronte – strettamente interconnesso al primo – da decenni ignorato e, invece, essenziale in prospettiva immediata per la transizione sostenibile. Candidando Napoli, la Campania, il Sud a trampolino, indispensabile al Nord, per proporre, con solidissimi argomenti, al Paese un percorso – mentre ancora si utilizzano le energie fossili – che faciliti ed accorci i tempi fissati dagli appuntamenti della transizione al 2030 e al 2050. Grazie alla sinergia che offre il complesso degli esclusivi vantaggi posizionali, sintetizzabili con la realizzazione del sistema delle Autostrade del mare e del pieno sviluppo, tra le energie rinnovabili, della geotermia. Per quest’ultima sarebbe opportuno iniziare un percorso proprio dall’area metropolitana di Napoli, che la bassa-media entalpia può garantire con un significativo contributo al riequilibrio finanziario del Comune.
Proprio la logica del Piano consente un impegno sul terzo fronte, quello della mitigazione del rischio vulcanico e bradisismico che, superando la colpevole inerzia sia locale che nazionale, punti a creare condizioni favorevoli alla ricollocazione di significative fasce di popolazione nel medio lungo periodo. In che modo? Attuando un approccio operativo che, diversamente dal “Piano nazionale di emergenza”, interpreti l’obiettivo prioritario e il tema della mitigazione del rischio territoriale, puntando on chiarezza fin da subito sullo sviluppo attrezzato dell’asse Napoli Bari. Lungo quest’asse, infatti, si dovrebbero reinsediare la popolazione e i servizi, seguendo la direttrice costituita dalla “nuova” linea ferroviaria, ad Alta velocità con 12 stazioni. Ridando così funzioni a zone interne, ora quasi abbandonate, dell’Irpinia e del Sannio e contribuendo per questa via a realizzare la Grande Città Campana. Piuttosto che congestionare centro e periferie dell’area metropolitana di Napoli, bisogna, perciò, creare le condizioni per una nuova residenzialità decentrata, attraendo la popolazione grazie sia a linee metropolitane veloci che colleghino queste zone con l’attuale città a maggior rischio vulcanico e bradisismico, sia programmando un articolato decentramento dei servizi. Misure che, nel loro insieme, rappresentano la migliore politica per evitare la desertificazione di queste bellissime aree.