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La ribellione dei decabristi

14 dicembre 1825

by Giulia Cioffi
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L’arresto della carica riformista avviata da Caterina la Grande comportò la sollevazione dei ranghi liberali della società.

Ad essere particolarmente insoddisfatti delle riforme di Alessandro I erano ufficiali dell’esercito appartenenti a famiglie aristocratiche e a reggimenti di élite, con una formazione di matrice illuminista e liberale. L’ascesa del giovane imperatore nel 1801 fu accolta con grande entusiasmo dai suoi sudditi, stanchi del reazionario e imprevedibile Paolo, padre di Alessandro. Lo zar sembrava incarnare il meglio dell’Illuminismo, le intenzioni di abolire la servitù della gleba e porre dei limiti alla smisurata autocrazia sembravano confermarlo.

La realtà era però ben diversa e lontana dalle aspettative; ben presto, infatti, Alessandro si rese conto che il servaggio della gleba costituiva una base fondamentale dell’economia del paese e la sua abolizione avrebbe inciso sull’intera società, soprattutto sull’importantissima piccola nobiltà. Per sopperire alla mancata riforma sociale, il sovrano comunque decretò l’ampliamento del diritto di possedere terre e la legalizzazione dell’emancipazione volontaria dei servi della gleba da parte dei loro padroni.

Anche l’autocrazia zarista non venne effettivamente arginata ma, nonostante ciò, lo zar promosse la funzione di suprema istituzione giuridica e amministrativa del Senato, i cui decreti avrebbero avuto da questo momento pari autorità di quelli del sovrano, e sostituì i collegi istituiti da Pietro il Grande con veri e propri ministeri.

Occupato nel fronteggiare la minaccia napoleonica, lo zar non proseguì ulteriormente nei progetti liberali, alimentando il malcontento di molti tra i più brillanti giovani del paese, sostenuti da autori come Puškin. In un primo momento, i liberali erano decisi a collaborare con il governo, ma quando lo zar abbandonò i progetti riformisti i decabristi iniziarono ad organizzare la ribellione; i due centri del movimento erano Pietroburgo al nord e Tul’čin al sud dell’impero, ma solo il secondo seppe agire con intelligenza e decisione. Il nucleo di Tul’čin era guidato dal colonnello Pavel Pestel’, il quale reclutò nuovi aderenti, stabilì contatti con un gruppo rivoluzionario polacco e coordinò i proprio obiettivi con quelli della Società degli Slavi Riuniti. Il movimento così costituito aspirava ad introdurre in Russia il costituzionalismo, le libertà parlamentari e l’abolizione della servitù della gleba.

L’occasione si presentò ai ribelli alla morte dello zar nel dicembre 1825 (per questo chiamati “decabristi”), quando Alessandro I morì senza eredi diretti e si pose il problema della successione.

Tradizionalmente, in assenza di figli e nipoti, l’erede avrebbe dovuto essere il fratello maggiore dello zar, in questo caso il granduca Costantino; costui, però, aveva sposato un’aristocratica polacca non di sangue reale, rinunciando così ai suoi diritti al trono. Infatti, prima della sua morte Alessandro aveva indicato, in un manifesto che però non venne mai pubblicato, il fratello minore Nicola come suo legittimo erede. Non essendo i due fratelli a conoscenza delle volontà dell’imperatore, sia Nicola che Costantino giurarono fedeltà l’uno all’altro; solo dopo che il maggiore dei due diede inequivocabile conferma della propria scelta, il minore si decise a pubblicare il manifesto di successione e indossare la corona.

Il 26 dicembre (14 per il calendario russo) 1825, quando i reggimenti della guardia di Pietroburgo avrebbero dovuto giurare fedeltà a Nicola, la società settentrionale dei decabristi diede il via alla ribellione, inducendo all’ammutinamento molte unità dell’esercito e radunando circa 3000 ribelli sulla piazza del senato in segno di protesta.

Pur essendo restio ad inaugurare il proprio regno con un massacro di sudditi, il nuovo zar diede il via libera all’intervento dell’artiglieria, ad arresti su vasta scala e alla condanna a morte dei leader dell’opposizione.

Come si vedrà successivamente, l’ormai consolidato regno di Nicola I segnerà la presa di coscienza dell’arretratezza del paese e la necessità di modernizzazione, che sarà però effettivamente avviata dal figlio dello zar, Alessandro II.