Lo spauracchio dei ceti medi del mondo è la perfida globalizzazione. Ai loro occhi il famigerato Gruppo Bilderberg, il Fondo Monetario Internazionale, i padroni dei social, i grandi banchieri – e alla fin fine, gratta gratta, gli Ebrei… – sarebbero i veri padroni del mondo, che svuoterebbero le sovranità nazionali delle proprie prerogative, di conseguenza renderebbero evanescenti le democrazie del pianeta. Per logica si dovrebbe perciò desumere che gli Stati più influenti del pianeta siano governati da fantocci dell’invisibile mostro globalista. Poi vai a vedere e scopri che essi, nella quasi totalità, sono governati da leader sovranisti. Prendiamo il BRICS, il gruppo delle economie emergenti (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica): in Brasile, sia pure con i giorni contati, governa Bolsonaro, sovranista; in Russia Putin, manco a dirlo; in India Modi, sovranista; in Cina Xi Jinping, sovranista; ed in Sudafrica Ramaphosa, l’unico appena appena più aperturista. Nell’Occidente il Regno Unito è governato dalla destra brexitara, sovranista; molti Paesi dell’Unione Europea, ultimi la Svezia e l’Italia, idem; in Francia Macron, globalista, è insidiato dai sovranisti di destra (Le Pen) e di sinistra (Melenchon); in Spagna s’avanza la destra sovranista di Vox. E gli USA? Certo, oggi c’è Biden, bandiera del mondialismo, ma, non ci fosse stato il covid, sarebbero tuttora governati da Trump, il campione di tutti i sovranismi. E non è detto che tra due anni il tycoon non torni alla Casa Bianca. Stringi stringi e ti accorgi che – a parte Biden, finché dura – l’unico leader mondiale su posizioni mondialiste è papa Bergoglio, che però non ha uno Stato e non ha cittadini che ogni quattro cinque anni si recano alle urne.
Dunque la potentissima lobby globalista non è in grado di determinare le politiche della stragrande maggioranza degli Stati che contano oggi nel mondo. Eppure i popoli dell’intero pianeta sono così convinti che stanno subendo una sottile, occulta, subdola dittatura per opera di invisibili poteri globali, che votano in maggioranza per quelli che si presentano come nemici del globalismo. Ora è ben vero che i poteri globali esistono, che hanno le loro sedi di raccordo nelle quali definiscono strategie e mediano i loro reciproci interessi, e che queste sedi certamente non sono espressioni delle volontà dei popoli. Ed è altrettanto vero che tali centri di potere condizionano l’economia, gli assetti sociali e finanche le tendenze culturali del mondo intero, quindi la politica mondiale. Ma da qui ad essere il diabolico principe di questo mondo ce ne vuole.
Perché dunque la gente è tanto angosciata dalla globalizzazione? Di cosa ha paura?
Proporrò qui di seguito una semplificazione grossolana – ai palati raffinati chiedo indulgenza – della teoria dell’economista serbo Branko Milanovic, quello del celebre grafico a proboscide di elefante. Se dividiamo la popolazione mondiale in quattro strati, il primo ed il più numeroso è quello composto dai più poveri del pianeta, il 70% della popolazione mondiale, miliardi di persone che vivono in condizioni disumane; poi c’è lo strato dei penultimi, il proletariato ed i ceti piccolo borghesi, quelli che hanno redditi modesti ed un tenore di vita appena decente, grosso modo il venti per cento della popolazione mondiale; nel terzo strato mettiamo le borghesie medio-alte, commerciali, imprenditoriali e impiegatizie, circa il nove per cento; infine i più ricchi, ed anche i meno numerosi, l’uno per cento delle persone distribuite su tutto il pianeta.
Milanovic ha analizzato le dinamiche reddituali dei quattro strati per un trentennio, ebbene nel tempo della globalizzazione le diseguaglianze mondiali si sono ridotte! Sono cresciuti il reddito globale della fascia degli ultimi e quello della quarta fascia, mentre sono arretrati i redditi delle due fasce intermedie. Per precisione ad aver subito colpi è stata soprattutto la seconda fascia, quella dei penultimi. Solo che la crescita reddituale del primo strato, quello degli ultimi, distribuita tra i miliardi di individui che ne fanno parte, appena appena viene avvertita da costoro, mentre la crescita della ricchezza del quarto strato, composto di pochissime persone, ha comportato per loro un benessere mai visto prima, ben visibile dall’opinione pubblica di tutti i continenti. I già ricchi sono diventati straricchi, i più poveri alla fin fine sono restati poveri. I secondi ed i terzi per parte loro hanno risentito della perdita. Alcuni di loro, specie della borghesia medio alta, sono riusciti a barcamenarsi nel nuovo contesto e a salire di livello, la gran parte però ha perso potere di acquisto e status sociale. Soprattutto si è fermata la scala mobile grazie alla quale stavano salendo ai piani più alti. Molti di loro avvertono che essa non si è solo fermata, ma che ha invertito direzione ed ora è in discesa.
Nelle democrazie come si orientano questi strati in politica? I più ricchi gestiscono le loro infinite fortune e sono del tutto indifferenti alle politiche dei singoli Stati. Loro non hanno bisogno dello Stato. Peraltro sono così pochi che, quand’anche votassero, i loro voti si potrebbero contare col pallottoliere.
Gli ultimi nella stragrande maggioranza sono analfabeti e vivono sotto dittature para-tribali, non hanno gli strumenti per partecipare in modo consapevole dalla vita politica dei Paesi nei quali vivono, in cui spesso neanche c’è una vita democratica. Quelli che invece sono nelle piene condizioni culturali per partecipare consapevolmente alla dialettica politica dei propri Paesi sono i ceti medi. Costoro guardano con invidia sociale alle élite che si arricchiscono mentre loro si impoveriscono, un’invidia che a fasi alterne si fa rancore e ribellione. Sull’altro versante si sentono minacciati dalla ascesa degli ultimi. Non hanno però gli strumenti per arrestare le dinamiche globali e sentono il bisogno che qualcuno li protegga e tuteli, e chi potrebbe farlo se non il loro Stato?
Chiedono perciò governi forti e pienamente ‘sovrani’, che possano contrastare la globalizzazione. Esigono redditi pur che siano, elargizioni assistenziali, detassazione, aiuti di qualsiasi genere, purché conservino la propria attuale ricchezza, aspettando che si rimetta in movimento in salita la scala mobile e si distanzino nuovamente dal primo strato. Si sentono minacciati dagli straccioni che arrivano sui barconi, senza peraltro aver voglia di lavorare al loro posto a raccogliere pomodori nelle terre arse dal sole. Alla fine, quando vengono chiamati a votare, mettono la croce su chi appare loro più credibile nel frenare gli arrivi di immigrati e nell’alzare la voce contro il nemico mondialista.
Detta semplice semplice, le ragioni dei successi elettorali e politici dei sovranisti nel mondo stanno tutte qui. E attenzione, quando diciamo del primo strato sociale, quello degli ultimi, diciamo di una sua consistenza poco più che insignificante nei Paesi benestanti dell’Occidente, tra i quali l’Italia. Quando l’ISTAT ci informa che in Italia ci sono circa sei milioni di persone che vivono in povertà assoluta, utilizza parametri reddituali che, applicati in India o nell’Africa subsahariana, definirebbero piuttosto i ceti medi di quelle società. Insomma, i poveri italiani, su scala globale sono i penultimi, non gli ultimi.
Che errore pensare che la sinistra in Italia perde le elezioni perché ha abbandonato gli ultimi. La sinistra, in verità, non ha mai trascurato di collocarsi contro le diseguaglianze globali ed a favore degli ultimi, ma così ha tutelato una platea che non vota in Italia. È stata capita dalle fasce acculturate ed educate ai valori solidali della borghesia illuminata, che ha diviso i suoi voti tra la sinistra ed il centro, ma non ha tutelato i penultimi, che sono la maggioranza degli Italiani. Per farlo avrebbe dovuto assecondare i loro rancori sociali e la loro albagia verso gli ultimi. Ed i penultimi hanno votato la destra e il M5S.