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La primavera di Teheran e noi

by Luigi Gravagnuolo
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Nel dicembre del 2010 spirava la brezza della libertà sulla sponda africana del Mediterraneo ed i regimi fondamentalisti stavano allerta. Spiavano, arrestavano, torturavano i sospettati. La scintilla non l’accese però un rivoluzionario. Fu un giovane venditore ambulante tunisino, che si vedeva sistematicamente sequestrata la merce dagli estorsori e/o dalla polizia, tra loro collusi.

Dopo averlo gridato e minacciato ai suoi aguzzini, emulando il suo coetaneo di Praga di quarant’anni prima – diciamo qui di Jan Palach – Mohamed Bouazizi, il giovane ambulante tunisino, per protestare contro le vessazioni subite da parte della polizia, la mattina del 17 dicembre 2010 comprò una lattina di benzina, se ne cosparse il corpo e, davanti al commissariato della sua città, si diede fuoco. I tentativi di salvargli la vita furono vani, morì quindici giorni dopo. Al suo funerale parteciparono cinquemila persone: “Sarai vendicato Mohammed! Noi oggi piangiamo per te. Ma faremo piangere coloro che hanno causato la tua morte!”

Cominciò da lì una rivolta che in un batter d’occhio si estese a tutto il mondo arabo. I media del mondo intero, memori della Primavera di Praga del ‘68, la battezzarono subito come le Primavere arabe, al plurale perché investirono praticamente tutti i Paesi del Maghreb, del Mashraq e del Medio Oriente.

Nel giro di pochi mesi ne furono coinvolti l’Egitto, la Siria, la Libia, la Tunisia, lo Yemen, l’Algeria, l’Iraq, il Bahrein, la Giordania, il Gibuti, la Mauritania, l’Arabia Saudita, l’Oman, il Sudan, la Somalia, il Marocco e il Kuwait. Tutti i Paesi arabi furono destabilizzati e in alcuni di essi ancora è in corso la guerra civile.

Tra febbraio 2011 e febbraio 2012 quattro capi di Stato furono costretti alle dimissioni, alla fuga e in alcuni casi portati alla morte: Zine El-Abidine Ben Ali in Tunisia, Hosni Mubarak in Egitto, Mu’ammar Gheddafi in Libia e Ali Abdullah Saleh in Yemen. Il destino di Gheddafi fu il più cruento, catturato mentre tentava la fuga, fu massacrato dai rivoltosi ed il suo corpo esposto al pubblico, a monito di ogni aspirante tiranno.

Tra Siria ed Iraq un fanatico fondamentalista sunnita – Abū Bakr al-Baghdādī – fondò lo ‘Stato Islamico’, l’Isis con capitale a Raqqa, di cui si autoproclamò califfo. Sognava di unificare in breve tempo Iraq e Siria sotto il suo dominio per poi espandersi in tutta l’area del fu impero arabo dei secoli VIII e IX, quando le scimitarre dei califfi erano arrivate sino ai Pirenei. Armò e finanziò il terrorismo su scala planetaria, inflisse lutti a Parigi, Bruxelles, Berlino, Londra, Istambul, fino a Mosca e a Giacarta, a Sidney e a Dallas, all’intera Africa subsahariana. Le primavere arabe avevano aperto il varco al più illiberale e sanguinario dei regimi dispotici di cui è ricca la storia dell’umanità.

Protagonisti dei primi passi delle primavere arabe erano stati i giovani ‘nativi digitali’, provetti smanettatori sui social, che avevano raggirato le censure dei loro governi. Inneggiavano alla libertà, a cominciare da quella dei costumi, proponevano come modello la democrazia europea, denunciavano la violenza repressiva dei loro regimi, chiedevano aiuto all’Occidente perché non li lasciasse soli. E l’Occidente, anche con l’avallo dell’ONU, non li lasciò soli. L’aviazione francese, quella inglese e quella statunitense si alzarono e volarono sui cieli della Libia e della Siria. L’Occidente sostenne con le bombe e con i dollari le rivolte, ma non si aprì una stagione di pace e di libertà. Quel mondo non ha ancora trovato pace, meno che mai la libertà.

Quando, nel febbraio scorso, Putin ha ordinato l’invasione dell’Ucraina, a sua giustificazione ha apportato la ‘minaccia della NATO’, che a suo dire era pronta ad invadere la Russia: non aveva fatto così nei Paesi arabi solo dieci anni prima? Trascurando il dettaglio che anche la sua aviazione era intervenuta in Siria e che la sua famigerata Brigata Wagner si era insediata in Libia e nella stessa Siria, il leader del Cremlino continua a denunciare l’intromissione ‘imperialista’ dell’Occidente nelle vicende interne agli altri Paesi, con particolare riferimento ai Paesi arabi. Ed immancabilmente una parte significativa della sinistra occidentale, da sempre USA-fobica, si unisce alla sua voce: “Ma quali primavere arabe, furono tutte provocazioni finanziate e supportate dagli USA; vedete che macello ha combinato la NATO in Libia, Siria, Yemen etc. Ha ragione Putin, l’origine di tutti i mali del mondo ha sede a Washington!”.

La NATO non c’entrò nulla nella vicenda delle primavere arabe, furono le forze armate di singoli Paesi ad intervenire su mandato dell’ONU, ma questa è una sofisticheria troppo complicata per i complottisti.

Teniamole bene a mente queste posizioni, ora che gli ayatollah iraniani stanno trucidando le loro ragazze ed i giovani in rivolta. Finalmente anche la sinistra sta riscoprendo il valore della libertà, non si sentono voci saccenti a sostegno del diritto degli ayatollah a reprimere nel sangue le manifestazioni foraggiate dall’Occidente. In questo rinsavimento conta molto il fatto che protagoniste della rivolta sono le donne, ree di volersi togliere il velo, simbolo sacro della loro intrasgressibile sottomissione al maschio. Per lo meno sui diritti, e non solo su quelli delle donne, la sinistra non ha ancora smarrito il senno.

Sono così partite le prime mobilitazioni a sostegno delle ragazze e dei ragazzi iraniani. Mentre scriviamo si susseguono notizie di iniziative in ogni regione italiana. Ne citiamo due.

A Salerno l’Associazione Memoria in Movimento ha organizzato un’assemblea di solidarietà alle donne e al popolo iraniano alla quale parteciperà l’attivista iraniana Rozita Shoaei. Si terrà al Mumble Rumble il prossimo 28 dicembre alle ore 18:00.

Straordinarie sono finora le adesioni all’iniziativa lanciata a Napoli da Marisa Laurito e Luciano Stella per una manifestazione da tenersi la mattina del 7 gennaio al Trianon di Napoli. Artisti, intellettuali, sportivi, interi pezzi dell’Accademia e delle Istituzioni napoletane hanno già garantito la loro presenza. A firma di Marisa Laurito, Luciano Stella, Tosca, Edoardo Bennato, Nino Daniele, Andrea Morniroli, Desiree Klain, Alfredo Guardiano, Tiziana Ciavardini ed altri sulla rete è stato pubblicato un manifesto-appello-lettera aperta alle istituzioni italiane ed alle diplomazie rappresentate in Italia che chi vuole può sottoscrivere (https://chng.it/Lq9WyYRJK7).

In esso si esige con forza che il popolo iraniano non venga lasciato solo e si chiede al nostro governo ed al Quirinale di ritirare ‘per consultazioni’ l’ambasciatore a Teheran e di rifiutare l’accredito al nuovo ambasciatore iraniano a Roma, non ancora insediatosi. Già, ma come? Come aiutare concretamente quei giovani che generosamente stanno donando la vita per liberarsi da un’oppressione medievale? C’è un modo, oltre le effimere sanzioni?

Da parte di molti ce lo si chiede e si resta bloccati in una maledetta sensazione d’impotenza. Se lo sta chiedendo qualcuno anche nella chat ‘Donna, vita, libertà’ di raccordo tra i promotori del 7 gennaio al Trianon, a cosa servono le nostre mobilitazioni se lì si continua ad uccidere? “Noi non potremo mai competere con il governo iraniano – ha risposto uno della chat che si firma ‘mio’ ma dobbiamo egualmente far sentire la nostra voce come le altre nel mondo. Solo per non far sentire soli questi ragazzi che stanno morendo per conquistare la libertà”.

Proprio così, noi non possiamo fare granché, ma quanto meno far arrivare al popolo iraniano il segno della nostra solidarietà, questo sì che possiamo. Anzi, dobbiamo.