L’invasione napoleonica della Russia zarista è un evento storico di cruciale importanza, tanto per il destino della Francia rivoluzionaria e quindi dell’Europa, quanto per la memoria patriottica russa.
Esemplare di ciò è il nome con il quale i russi si riferiscono al tragico avvenimento: pervaia atecestvennaia vaina (первая отечественная война), ossia “Prima Guerra Patriottica”. Viene adoperato l’aggettivo “prima” per distinguerla dalla Grande Guerra Patriottica, ossia la Seconda Guerra Mondiale.
Per comprendere il motivo dell’offensiva francese, bisogna fare una rassegna delle politiche adottate in campo internazionale prima da Paolo I, figlio e successore della Grande, e poi dal figlio Alessandro I.
Dagli articoli precedenti si evinceva che la Rivoluzione Francese avesse già avuto luogo negli anni del regno di Caterina, e dunque con Paolo I (1796-1801) si assiste all’ascesa di Napoleone.
In questo contesto storico, spaventato come gli altri leader europei dall’espansione territoriale e non della Francia, il sovrano russo decise di prendere parte alla seconda coalizione antifrancese insieme a Gran Bretagna, Austria, Regno di Napoli, Portogallo e Turchia. Le campagne militari promosse dalla coalizione permisero all’impero zarista di acquisire il controllo dell’isola di Malta, e di partecipare alle battaglie in Italia settentrionale, nei Paesi Bassi e in Svizzera.
Una gestione della guerra poco volta al supporto dei propri alleati da parte di Austria e Gran Bretagna, costrinse però le truppe russe a ritirarsi dai territori olandesi, e spinse lo zar indignato ad abbandonare la coalizione. Simultaneamente, Paolo si schierò al fianco della Francia, illudendosi che l’ascesa di Napoleone avrebbe inaugurato un periodo di stabilità.
L’assetto estero che Alessandro I ereditò nel 1801, quando all’assassinio del padre divenne zar, era dunque piuttosto precario. L’imperatore scelse, tuttavia, di tornare sulla via della tradizione, in virtù degli accordi economici con la Gran Bretagna, della storica amicizia con l’impero austriaco, e soprattutto della minaccia che Napoleone rappresentava per l’Europa intera, aderendo così alla terza coalizione antifrancese.
Nel 1805 la coalizione si trovò in breve tempo a dover affrontare l’alleanza franco-spagnola. Gli eserciti austro-russi subirono una disastrosa sconfitta inferta quello stesso anno da Napoleone, nei territori dell’attuale Repubblica Ceca. In seguito alla disfatta, l’Austria venne meno ai successivi scontri e la Russia si ritrovò a ricorrere all’aiuto prussiano, che fu però facilmente annientato dall’esercito nemico e costrinse lo zar a stringere un accordo con Bonaparte. I trattati di Tilsit del luglio 1807 sancirono il declassamento della Prussia a potenza di second’ordine, e la riconfigurazione dei confini europei al punto da far emergere sul continente un vastissimo e potente impero francese al ridosso dell’impero russo.
Il nuovo assetto territoriale esplicitava chiaramente che l’unica potenza che avrebbe potuto frenare le ambizioni napoleoniche era quella zarista, che fungeva quindi anche da unico reale nemico francese. Ben presto, infatti, in seguito alle continue tensioni provocate dall’insoddisfazione generata dagli accordi, le truppe francesi invasero i territori russi.
L’esercito di 600.000 uomini schierato nel giugno del 1812 da Napoleone non contava evidentemente solo soldati francesi, bensì faceva affidamento sull’appoggio delle truppe sconfitte di Prussia e Austria, e sul prezioso aiuto polacco che lottava per una Polonia indipendente.
La Russia, invece, contava non solo sull’alleanza britannica ma in particolare sull’esercito dell’intero paese, intenzionato a combattere al fianco dello zar per la liberazione della propria patria. Infatti, le aspettative di Napoleone, secondo il quale le prime sconfitte avrebbero indotto il nemico a trattative di pace, si rivelarono infondate.
Nonostante la tenacia delle truppe zariste, è vero che l’offensiva napoleonica causò numerose perdite, celebre è la battaglia di Smolensk, e l’esercito russo fu più volte costretto alla ritirata, fino ad arrivare ai sobborghi di Mosca. Nei pressi di quella che un tempo fu la capitale e il nucleo del potere dello stato slavo, infatti, si tenne la battaglia di Borodino che causò ad entrambi gli eserciti perdite consistenti, ma non bastò comunque a fermare l’avanzata francese.
Il 14 settembre del 1812 Napoleone, infatti, entrò nel Cremlino di Mosca, ma dopo pochi giorni di occupazione straniera la città fu data alle fiamme dai suoi stessi cittadini, forti del fatto che lo zar non aveva l’intenzione di firmare la pace finché il suolo russo non fosse stato liberato dai nemici. Nell’impossibilità di raggiungere un accordo e isolato nell’immane vastità del territorio russo, a Napoleone non restò che battere ritirata prima che cominciasse l’inverno.
La marcia di ritorno non fu impresa facile, tanto per l’abbattersi del rigido inverno sulle truppe, tanto per la politica militare messa in atto dai generali zaristi. Gli ufficiali, infatti, optarono per una strategia di inseguimento evitando però di imbattersi in scontri frontali e in grande stile. Piuttosto, si sfruttarono le grandi distanze del territorio, e si deviò la direttrice di ritarata francese, costringendo l’esercito a percorrere l’itinerario dell’offensiva, passando quindi per regioni devastate dalla guerra senza possibilità di fare rifornimento di approvvigionamenti, e imbattendosi nella guerriglia organizzata da contadini e cosacchi del luogo.
A varcare in uscita i confini dell’impero russo furono solo 50.000 soldati dell’esercito napoleonico, a discapito dei 600.000 che avevano invaso il paese, segnando una memorabile vittoria per la Russia, nonostante tale non si possa definire sul piano puramente militare.
Una volta liberato il paese dall’invasore, Alessandro I esportò la guerra al di fuori dei confini del suo stato, trovando nuovamente l’appoggio di Prussia e Austria, che con gli aiuti inglesi, inflissero una sanguinosa sconfitta all’esercito francese nella terribile battaglia di Lipsia nel 1813. Più tardi, in quello stesso anno, gli alleati diedero inizio all’invasione della Francia, entrando a Parigi il 31 marzo del 1814.
Il ruolo cruciale che l’impero zarista giocò nella lotta a Napoleone valse ad Alessandro un posto al Congresso di Vienna, durante il quale partecipò alla riconfigurazione dei confini europei, rivelandosi determinante per certe questioni. In particolare, lo zar voleva la creazione di un Regno di Polonia che avesse l’imperatore russo come suo sovrano costituzionale, e che comprendesse i territori dell’ex granducato di Varsavia con la città come capitale.
Il successo e la memoria della guerra napoleonica continuano a fungere da simbolo della partecipazione del popolo, unito e compatto dietro il proprio zar per liberare la patria dall’invasore.
In particolare, è interessante rilevare come nell’evento del 1812 si riscontrino due elementi che giocheranno un ruolo centrale nella Prima e poi nella Seconda Guerra Mondiale.
In primis, la compattezza e il patriottismo riscontrati negli avvenimenti appena narrati saranno le caratteristiche che permetteranno all’impero di organizzare la mobilitazione totale per contrastare l’invasione tedesca del 1914, nonostante i violentissimi attriti interni tra autocrate e popolo, che avevano indotto la Germania a credere in una vittoria lampo.
In seconda istanza, il sottovalutare la vastità del territorio e la rigidità dell’inverno russo che per un verso costò a Napoleone la sua vittoria, saranno errori che compirà circa un secolo dopo Hitler, permettendo a Mosca di reagire con successo all’offensiva.