In fondo i Fori Imperiali sono stati, dal 2 giugno 1948, la vetrina della storia repubblicana del nostro paese.
In realtà la prima Festa della Repubblica si celebrò un anno prima nello stesso giorno del 1947, per festeggiare la data del 2 giugno del 1946 quando il popolo italiano aveva votato a suffragio universale la nascita della moderna nazione italiana, ma la prima parata militare fu inaugurata dal Presidente Luigi Einaudi che, dopo aver deposto una corona al Milite Ignoto, e passato in rassegna le truppe schierate, prese posto sulla tribuna d’onore, spalle ai “Fori”, ricevendo il saluto, deferente e marziale delle bandiere, chine innanzi al Capo dello Stato, e “l’attenti a sinistra!” delle compagnie di formazione delle Forze Armate.
Da allora la “sfilata” è stata l’occasione per le Forze Armate italiane di dimostrare la loro preparazione militare: nei mesi precedenti la “parata”, la selezione e l’addestramento privilegiava i più adatti alla marcia, a reggere la stanchezza di un evento straordinario e l’emozione di vedere a pochissimi metri le massime cariche dello Stato.
Per i “politici”, gli uomini e le donne delle Istituzioni ammessi dal rigido cerimoniale a partecipare alla “sfilata”, l’accesso alle tribune da allora in poi è stato il segno del raggiungimento di una tappa (o di una conferma, per gli habitué), eleganti (non sempre, peraltro), imbarazzati (talvolta emozionati), qualche volta irriguardosi o nel vestire o negli atteggiamenti non consoni alla sacralità della cerimonia, tutti avvolti dai variegati colori delle divise militari delle Forze Armate, in “Grande Uniforme Invernale” (in tutte le caserme la “Estiva” si indossava dopo la sfilata) corredata, come previsto nei Regolamenti Militari, da “sciarpa azzurra, sciabola e decorazioni”.
Ma la “sfilata” è sempre stata soprattutto una festa di popolo, specialmente per gli abitanti della Capitale e per coloro che, dalle varie parti d’Italia, accorrevano magari per la prima volta a Roma a vedere, dagli spalti affollatissimi, figli, fratelli, fidanzati che avevano avuto la fortuna di far parte della “compagnia di formazione”.
E la “parata” era veramente emozionante: in primis proprio per chi vi faceva parte. Il momento dell’ “ammassamento” delle truppe è indescrivibile. Ci si portava all’altezza del Colosseo e finalmente si partiva per “sfilare in parata”: tacchi a terra, teste in alto, in quell’ultimo rettilineo, accompagnati dalle bande militari i cui tamburi risuonavano per mantenere il “passo”, a malapena sovrastando il rumore della folla. I tricolori sventolavano dalle tribune.
Quel fil rouge che ha unito la Festa della Repubblica dalla prima “parata”, a ben guardare, è composto da fotogrammi che compongono lo stesso lungometraggio di più di 70 anni di storia del nostro Paese. Non tanto perché rivedendoli vi si riconoscono gli uomini e le donne che sono stati ai vertici delle Istituzioni nazionali, ma piuttosto in quanto la “sfilata” ne ha ripercorso le tappe di vita repubblicana, essendo dedicata ed adattandosi di volta in volta ai momenti più significativi o agli eventi più importanti di quello stesso anno subendo, talvolta anche significativamente, le conseguenze del momento che si attraversava.
Così la parata militare ha cambiato spesso “faccia”, venendo talvolta ridotta all’essenziale durante gli anni della cosiddetta “austerity” di fine anni ’70 (quando per diverse edizioni fu ridotta la partecipazione dei mezzi “pesanti”), senza peraltro che la cerimonia ne perdesse in potenza espressiva (un anno si tenne una bellissima, sobria, sfilata delle bandiere di guerra di tutte le Forze Armate fino al Vittoriano, sulla cui scalinata il Presidente Pertini consegnò le medaglie d’ oro al Valor Militare a chi si era distinto del particolare onore).
Negli ultimi anni si è ampliata la partecipazione alle “sfilate”, aperte anche a chi, in divisa ma senza stellette, ha aiutato le popolazioni colpite da drammatici eventi, come i terremoti in Abruzzo e nelle Marche: la Protezione Civile, i Vigili del Fuoco, la Croce Rossa.
Meno successo hanno avuto, più recentemente, alcuni tentativi di “smilitarizzare” la partecipazione alla “parata” del 2 giugno, quasi come se chi indossa la divisa non sia figlio di tutti noi, pronto per primo a difendere, anche a costo della propria vita, i valori di noi tutti. Per fortuna la sacralità di quei luoghi è rimasta integra, quella stessa sacralità, e quegli stessi luoghi, che hanno visto scorrere il corteo funebre delle vittime di Nassirya.
Quest’ anno, un maledetto virus, visibile solo al microscopio ed infiltratosi vigliaccamente chissà come nel nostro Paese, nei nostri corpi e nella nostra vita, è riuscito a condizionare anche la Festa del 2 giugno, che si è voluta giustamente dedicare alle vittime del Coronavirus. La dedica è più che doverosa, e peraltro è assolutamente rispettosa dell’ impegno delle Forze Armate e di Polizia nella nuova emergenza: dalla velocissima costruzione degli ospedali da campo, alla presenza numerosa nei reparti di malattie infettive e di terapia intensiva di medici ed infermieri con le “stellette”, al trasporto delle salme, al controllo del territorio e del rispetto delle misure di contenimento. Ma il rigore di una cerimonia così minimale ci ha riportato bruscamente anche a questa realtà: Presidente e Corazzieri con le mascherine sul volto, poche Autorità civili e militari rigorosamente distanziate.
La scelta ha voluto evidentemente tenere presente non solo le norme sanitarie ma anche la giusta necessità di contenere (ed impegnare meglio) i costi di una cerimonia onerosa dal punto di vista della spesa, ma chi ha vissute molte “sfilate” da protagonista o da spettatore è rimasto shockato da quel silenzio sui Fori Imperiali e sull’Altare della Patria, rotto solo dal fragore della Pattuglia Acrobatica che in questi giorni ha sfrecciato lasciando scie tricolori da Nord a Sud per lo Stivale.
Speriamo che il “vuoto” di questo “2 giugno” ci faccia riflettere. Una riflessione collettiva sulla necessità di unità di popolo e di Istituzioni per superare, uniti, uno dei periodi più brutti della nostra storia. Speriamo di rivedere presto sfilare i nostri “figli” in divisa e di rivivere l’emozione delle marce di accompagnamento dei reparti e dell’Inno di Mameli, rivedere il “bianco, rosso e verde”, quello dei “gruppi bandiera” davanti ai reparti in armi e quello sventolato da grandi e piccoli sulle tribune. E speriamo anche di non vedere più quel grottesco sfondo della cerimonia odierna, posto a ricoprire maldestramente i lavori incompiuti della metropolitana di Piazza Venezia, simbolo di una Italia che non vogliamo, lenta, burocratica e poco attenta agli interessi pubblici ed al bene dei suoi cittadini, che in quei colori e nelle loro Forze Armate si riconoscono.