E sì che gli antigomorristi, all’annuncio che Ferzan Ozpetek stava mandando nelle sale l’esaltazione della grande bellezza di Napoli, hanno gioito convinti di aver trovato un nuovo paladino. Ma poi lo avranno visto questo film? Consiglio di no, se vogliono rimanere nell’illusione. Perché i 113 minuti di “Napoli velata”, uscito il 28 dicembre e ancora in cartellone a Napoli, è tutto fuorché un film sulle bellezze della città. O meglio, ci sono luoghi suggestivi, come lo scalone Mannajuolo o la farmacia degli Incurabili con tanto di vagina atemporale e inviolata alla fine del labirinto massonico, ma non per questo non generatrice visto che si apre al mondo. Ci sono i maghi, le megere, i trans, i nani, ambienti bui e una sottile esaltazione degli opposti che si uniscono – il film si apre con un uomo che partorisce. E i richiami al best seller “Iside svelata” della Blavatsky non si esauriscono qua.
Ma poi? Insomma che Napoli svela Ozpetek? Gomorra esalta la violenza e la criminalità organizzata, dicono in tanti, ma la Napoli velata riprodotta dal regista turco di che parla?
È una storia di amore e morte, è un thriller urlano le locandine. Bene, ci può anche stare, ma che c’entra Napoli, che ruolo svolge? Semplicemente, fa da sfondo, da cartongesso colorato e sfizioso davanti al quale muovere uomini e donne le cui vite potevano benissimo dipanarsi in altre città. Gomorra usa Napoli e ne abusa? Lo fa anche “Napoli velata”. Con buona pace di antigomorristi e neoborbonici.
In ultimo, segnaliamo la riflessione della scrittrice napoletana Antonella Cilento, che in un recente post su Facebook ha scritto: “Come diceva un tempo la reclame: si vantano numerose imitazioni”, affiancando la copertina del suo libro del 2004 “Neronapoletano” e il manifesto del film di Ozpetek . Nella prima immagine del noir della Cilento si vedono due occhi cerchiati venire fuori da un panno scuro. Nel trailer del film di Ozpetek, invece, un occhio solo, stilizzato come un’immagine egizia, emerge da un fondo nero. Coincidenze? Chissà.
Rimane il fatto che al punto in cui siamo Napoli (e in linea di massima anche il Meridione o i vari Sud del mondo, di cui spesso Napoli è considerata la città simbolo in base a una banalizzazione costante e spesso in malafede) è diventata una idea, una forma mitica. E ognuno ci infila dentro quello che vuole, o quello che vuole il pubblico. Qualche velo qui e là, e il gioco è fatto.