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La monarchicizzazione della democrazia, lezioni dall’incoronazione di Carlo III

by Pietro Spirito
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Ieri gli occhi del mondo erano a Londra, per la cerimonia di incoronazione di Re Carlo III d’Inghilterra. Nel principio del terzo millennio, i riti monarchici sopravvivono ancora, e catturano l’attenzione delle persone. Sembrano residui di un lontano passato, ma rischiano invece di essere frammenti di una modernità emergente.

Sotto relativo silenzio sono passati gli arresti di diversi inglesi repubblicani, colpevoli solo di considerare antidiluviana questa modalità di organizzazione del potere, nel mondo della digitalizzazione e della globalizzazione. Nella patria del diritto e della democrazia, l’unico gesto iconoclasta intollerabile consiste nella opposizione al primato monarchico.

Tra le persone arrestate c’è anche Graham Smith, leader del gruppo repubblicano Republic, che da tempo organizza le opinioni in favore dell’abolizione della monarchia nel paese. Il numero esatto delle persone fermate non è chiaro. La BBC scrive che oltre a Smith sono stati arrestati altri manifestanti che stavano scaricando da un camion vari cartelloni contro il re nella zona in cui è passata la processione, a cui hanno assistito decine di migliaia di persone. I loro cartelloni sono stati confiscati. Il caso inglese non è tuttavia una eccezione come può – ad uno sguardo disattento – sembrare. C’è uno strisciante impoverimento dei contenuti democratici, ed una loro torsione verso principi monarchici, sui quali sarebbe bene riflettere.

La monarchia costituzionale, ereditaria per diritto divino, sfugge alla razionalità del libero pensiero, ma non è molto distante dalle pratiche che pure si celebrano nelle altre forme di istituzionalizzazione del potere, dentro l’involucro della democrazia.

Nello stesso giorno della incoronazione di Carlo, Silvio Berlusconi, vestito di tutto punto dalle stanze del S. Raffaele, ha ribadito, in un videomessaggio indirizzato alla convention di Forza Italia, che resterà il riferimento centrale di quel movimento, monarchicamente assiso nel ruolo che ha costruito attraverso la fondazione del primo partito personale nella storia dell’Italia repubblicana.

Il diritto del fondatore resta inalterato, mentre gli istituti della democrazia con i quali è stata regolata nel passato la vita dei partiti sono ormai in via di dissoluzione. Congressi, discussioni, mozioni, confronti di opinioni sono ormai reliquie di un passato repubblicano, mentre la forma del potere democratico assume contorni monarchici.

Questa tendenza si sposta verso le istituzioni territoriali. La legge stabilisce che i presidenti di regione passano svolgere al massimo due mandati. Con una torsione interpretativa di stampo capzioso, Roberto Formigoni e Luca Zaia hanno già aggirato l’ostacolo, mentre Michele Emiliano e Vincenzo De Luca si apprestano a voler percorrere la stessa traiettoria.

Nelle democrazie la durata limitata dei mandati è un principio che si è affermato negli Stati Uniti dopo l’ennesima rielezione di un grande Presidente, Franklin Delano Roosevelt. Il Congresso decise, durante la Seconda guerra mondiale, di stabilire la durata massima consecutiva dei mandati a due, ed ancora oggi è così.

Ma lo slittamento monarchico delle democrazie tende a superare questo vincolo istituzionale, necessario per la circolazione delle classi dirigenti, e l’allungamento dei mandati nelle istituzioni regionali italiane getta ombre lunghe sulla capacità di rinnovare nei contenuti e nelle figure la rappresentanza ai massimi livelli.

Il governo Meloni si appresta ad aprire, sulla stessa lunghezza d’onda, la discussione sulla riforma in senso presidenzialista delle istituzioni repubblicane, con un disegno che forma un combinato disposto con l’autonomia differenziata: verticizzazione del potere al centro ed in periferia, con una marginalizzazione delle assemblee elettive che sostanzialmente hanno il compito decorativo di santificare il potere.

La monarchicizzazione delle democrazie è in marcia, a dimostrazione che la cerimonia londinese di ieri non è affatto una pagliacciata decorativa, ma rischia di essere l’essenza di una nuova modernità che guarda all’antico. C’è un punto però sul quale bisogna riflettere con attenzione: le monarchie contemporanee sono poco produttive di progresso e di efficienza, rispetto agli insegnamenti della storia.

Carlo III di Inghilterra ha assunto lo stesso nome di Carlo III di Spagna, nato il 20 gennaio 1716 a Madrid e morto nella stessa città il 14 dicembre 1788. Don Carlos è stato una figura molto importante non solo nella storia spagnola ma anche in quella italiana, in un periodo in cui importanti aree dell’Italia erano dominate dagli spagnoli. Carlos III aveva forti vincoli con l’Italia già per nascita: sua madre era infatti l’aristocratica italiana Elisabetta Farnese, nota in Spagna come Isabel Farnesio, principessa di Parma e Piacenza e poi regina consorte di Spagna come moglie di Filippo V.

Dal 1734 al 1759 Carlo di Borbone fu re di Napoli e re di Sicilia, dopo aver conquistato il regno di Napoli a capo di un esercito spagnolo. Era noto soprattutto come Carlo di Borbone (a Napoli anche come Carlo VII). Tante le tracce del suo regno nel sud dell’Italia, dalla Reggia di Caserta al Teatro di San Carlo, e sua l’iniziativa di iniziare gli scavi archeologici presso Pompei ed Ercolano. Quella da lui portata avanti fu una stagione di riforme, con la modernizzazione delle istituzioni e sotto il suo regno ci fu una fioritura della cultura illuministica napoletana.

Dal 1759 torna a Madrid, dove diventa Re di Spagna regnando fino alla morte, avvenuta nel 1788. A Madrid introdurrà una serie di riforme urbanistiche della città per le quali è ricordato come “il miglior sindaco di Madrid”. I grandi sovrani, come Don Carlos, sono stati innovatori di valore assoluto. Le monarchie, progressivamente, si sono svuotate della loro capacità costruttiva, per conservare solo un involucro di potere incapace di disegnare futuro e sviluppo.

Che oggi le democrazie stiano cominciando a prendere a prestito dalle monarchie costituzionali modalità di organizzazione del potere e del consenso, è un pessimo segnale. Don Carlos è stato il miglior sindaco di Napoli e di Madrid. Carlo III di Inghilterra testimonia invece lo sfarzo di un potere vuoto, non i fasti di un potere che si rigenera. Anche la sua età evidenzia il segno della decadenza: invece di fare il nonno, diventa sovrano. Pure in questo caso, la giovane democrazia repubblicana italiana si mette sulla sua scia.