La scoperta della Megalografia della Casa del Tìaso Dionisiaco, ribattezzata frettolosamente dalla stampa come la “seconda” Villa dei Misteri, è avvenuta – come abbiamo già illustrato su queste colonne – con fasi attente e impegnative di ri-scavo e scavo archeologico in una zona circoscritta della Regio IX dell’area archeologica di Pompei Scavi.
Tale zona è fortunatamente in gran parte ancora da scavare, ma in passato non recente essa è stata improvvidamente già in parte scavata, ma anche violata clandestinamente e, infine, anche ricoperta dai coloni demaniali.
Insomma, non si dimentichi che lo “scavo pompeiano” ha oltre un quarto di millennio di vita.
La notizia del ritrovamento della megalografia dionisiaca, clamorosa in sé e riportata ampiamente dalla stampa, ha dato la stura però alla attiva curiosità dei lettori, che si sono poste domande sulla “megalografia”, intesa come tipologia di rappresentazione pittorica a grande scala su affresco o altro materiale a Pompei e altrove.
In questo articolo – senza volere occupare spazi di conoscenza riservata agli addetti ai lavori – intendiamo dare risposte a carattere generale sulla nascita e lo sviluppo della megalografia parietale romana a fresco, per poi concentrare l’attenzione su Pompei, che non ha restituito finora altre grandi rappresentazioni megalografiche, oltre quella della Villa dei Misteri, scavata da Amedeo Maiuri nella prima metà del Novecento.
Ebbene, va intanto ricordato che la megalografia parietale romana a fresco nasce dalla tradizione pittorica ellenistica, che influenzò profondamente l’arte romana a partire dal periodo di espansione di Roma nel bacino del Mediterraneo.
Già nel terzo secolo a.C. dunque, con la conquista della Grecia e delle regioni ellenistiche, i romani entrarono in contatto con lo stile pittorico greco, che includeva l’uso di grandi immagini figurative – realizzate anche a grandezza “naturale” – per decorare ambienti pubblici e privati.
L’influenza ellenistica, quindi, stimolò la creazione di nuovi stili decorativi. Tra essi, la megalografia emerge come una delle forme più distintive di decorazione parietale a fresco, utilizzata soprattutto in ville e residenze aristocratiche, in cui venivano decorate pareti intere con scene mitologiche o eventi storici celebri.
La megalografia parietale quindi si differenzia dalle altre forme di pittura parietale romana, del tipo “affresco pompeiano”, che si sviluppa in maniera più minuta e scenografica. Le caratteristiche principali della megalografia invece sono le “dimensioni monumentali”, capaci di contenere scene tale da occupare intere pareti, con figure umane e animali dipinte a scala naturale.
Le scene erano celebrative e, in alcuni casi, avevano il compito di rappresentare il potere e il prestigio del committente. Più spesso le scene erano tematiche, mitologiche o storiche. I soggetti delle pitture erano tratti dalla mitologia greca e romana, oppure era rappresentazioni di figure mitiche o personaggi storici.
La tecnica principale per la realizzazione di queste opere era quella dell’affresco che, come è noto, prevede che i colori vengano applicati su intonaci freschi, con una resa dei colori particolarmente duratura e viva nel tempo.
Il disseppellimento di tali pareti affrescate consentiva – e consente – visioni stupefacenti per la vivezza vibrante dei colori. Da qui il grande successo degli affreschi pompeiani a partire dalla fine del Settecento a tutt’oggi, come avviene in ogni occasione di scoperte e ritrovamenti di affreschi a Pompei.
In sintesi, la megalografia parietale romana a fresco rappresenta una delle massime espressioni artistiche dal primo secolo a.C. al primo secolo d.C., un periodo in cui l’arte pittorica romana si distinse per la sua monumentalità e il suo legame con la crescente potenza politica di Roma.
Successivamente, la megalografia “a fresco” iniziò a declinare, anche a causa di mutamenti delle tecniche decorative “concorrenti”.
Già dal Secondo secolo d.C., infatti, il mosaico divenne la tecnica predominante per le decorazioni, perché i mosaici garantivano immagini di grande impatto visivo e cromatico, ma anche di grande durata nel tempo. E così i mosaici sostituirono gradualmente le pitture a fresco, soprattutto negli usi pavimentali e monumentali, sottoposti a maggiori usure ed esposizioni microclimatiche non favorevoli alla conservazione.
E la Conservazione è un tema assolutamente attuale e, per certi versi, dibattuto ancora oggi.