Ho letto che è morto Comunardo Niccolai. Non era neppure tanto anziano.
Va via ad appena pochi mesi dal suo leader, Riva, di quel Cagliari fantastico che conquistò il tricolore nel 70. In quella formazione vi erano, per classe e personalità, veri e propri giganti. Ovviamente Gigi Riva, inarrivabile per chiunque. Ma poi anche Albertosi, spavaldo e plastico portiere. Il brasiliano Nene’, grande e saggio centrocampista. Il fascinoso partner di Riva in attacco, Gori. Il libero Cera, tatticamente un dio. Lo stesso Domenghini, agile e tecnico dominatore della fascia destra.
Tra loro Niccolai faceva fatica a farsi notare. Cosa che poi neppure gli stava tanto a cuore. Lui era di quei difensori umili e arcigni, capace però anche di ripartire. Più che da semplice stopper già allora si interscambiava con Cera il ruolo tra centrali.
Per il calcio il passaggio tra gli anni ’60 e i ’70 fu un periodo di trapasso come per il Paese. Finiva un decennio favoloso, carico di speranze e azzardi. Anche di illusioni. Fiorentina e Cagliari erano arrivate allo scudetto rispettivamente nel ’69 e nel ’70. Ce ne volle di tempo per vedere il tricolore sul petto a una squadra diversa dalle grandi del nord.
Negli anni ’60 tutto sembrò possibile, i tanti cambiamenti sociali, la classe operaia protagonista, le importanti conquiste. E perfino lo scudetto a viola e rossoblù. Erano talmente grandi le speranze sociali in ogni campo che i tifosi addirittura contestarono la nazionale azzurra per aver perso la finale del Messico col grande Brasile di Pelè. E dopo la memorabile Italia Germania 4 a 3.
Se pensiamo alla prova della nazionale agli europei viene da sorridere. Ancor più pensando che nessuno ha tratto le conclusioni per la disfatta.
Di quella spedizione messicana fu parte anche Comunardo. Fu a suo modo un uomo di libertà. Portava quel nome forse per un’antica fede dei genitori alla Comune di Parigi. E divenne famoso, quasi non facesse altro che autogol, per un solo ma sfortunato autogol messo alle spalle di Albertosi in una gara con la Juve. Non se ne crucciò troppo, era di quei calciatori essenziali, capace di difendere e far ripartire. Un grande difensore moderno, che passò per un abitudinario dell’autogol. Questo per dire quanto erano alte le aspettative di tutti a quei tempi.
Ma gli anni Settanta entrarono rapidi, cambiando tante cose. E sottilmente cominciarono a rovesciare quelle stagioni di inebriante bellezza. Gli operai videro via via rimangiate dall’impresa le tante conquiste, la politica e la cultura iniziarono a rinsecchire, la Juventus calcisticamente dominò quasi il decennio. Poi arrivarono inesorabili e duri gli anni ’80. E di Comunardo Niccolai si persero le tracce e la memoria.
Riappare oggi, in questo incerto inizio di luglio. Sembrava laterale rispetto ai campioni. E invece era un uomo di libertà Comunardo.
Stava scritto nel nome. E anche in quell’autogol improvviso. Imprevedibile e libero come un dribbling.