Michael Sandel è un filosofo americano, esponente del comunitarismo. Tra i temi che ha sollevato nella discussione culturale internazionale si segnala in particolare la critica alla meritocrazia, diventata nel corso degli ultimi decenni una ideologia del privilegio, un meccanismo di promozione e, soprattutto, di approfondimento delle diseguaglianze.
Sandel ha svolto una lezione esemplare su questo snodo dell’organizzazione sociale nel corso del festival internazionale dell’economia a Torino, sul tema “La tirannia del merito: perché viviamo in una società di vincitori e di perdenti’.
Innanzitutto l’intervento è stato molto interessante dal punto di vista del metodo. Sandel ha sottolineato che la filosofia appartiene alla città: ogni cittadino è filosofo e la discussione deve essere un esercizio collettivo. Rivolgendosi al numeroso pubblico del Teatro Carignano ha posto inizialmente la questione del divario di retribuzione tra Lionel Messi, che guadagna 75 milioni di dollari all’anno, e quella di un insegnante di grande valore, che abbia costituito punto di riferimento per i propri studenti, segnandone la formazione.
Chi decide la graduatoria dei valori in campo? Suscitando l’attenzione dei partecipanti, Sandel li ha accompagnati nell’individuazione dei criteri con i quali si determinano i meccanismi di costruzione della meritocrazia nelle società contemporanee. Voci divergenti dal pubblico hanno consentito di mettere a confronto le opinioni in base alle quali misuriamo ed apprezziamo il contributo di ciascuno alla vita sociale.
Innanzitutto, il talento da solo non basta, serve anche la sua coincidenza con il momento sociale. Un calciatore di grande classe vale oggi una fortuna perché suscita l’ammirazione di un pubblico sterminato. Nella società rinascimentale sarebbero stati altri mestieri ad essere maggiormente apprezzati. Inoltre, la società globalizzata e digitale del nostro tempo amplia in modo inusitato il perimetro del pubblico, con effetti moltiplicativi che rendono inevitabilmente ancora più allargata la forbice delle diseguaglianze.
La meritocrazia, per poter essere socialmente accettabile, deve essere accompagnata dal principio di eguaglianza delle opportunità, che deve tradursi in momenti capaci di valorizzare le capacità di ciascuno. Il merito diventa tirannia quando non a tutti sono consentite le stesse opportunità. Misurare la mobilità sociale ci consente di comprendere che ciascuna comunità distribuisce le pari opportunità in modo differente: se in Danimarca servono due generazioni per passare da una condizione sociale subordinata ad una condizione sociale superiore, ce ne vogliono cinque in Italia, negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna.
Dall’affermazione del neoliberismo in avanti, a partire dagli anni Ottanta del secolo passato, la forbice tra vincenti e perdenti si sta allargando. La meritocrazia manifesta un suo lato oscuro. Non si incrocia con la solidarietà. Il successo conduce a dimenticare i debiti verso la società ed anche la fortuna che accompagna questo percorso.
Se non raggiungi il successo, secondo i parametri che oggi misurano i comportamenti sociali, è colpa tua, perché non sei stato capace di seguire il tracciato che ti può condurre all’affermazione delle tue competenze ed al riconoscimento sociale del tuo ruolo.
L’istruzione superiore è diventata la piattaforma principale che costituisce un presupposto per il successo. Soprattutto, si sono consolidate scuole di eccellenza che rappresentano una sorta di porta di accesso verso le classi dirigenti. Proprio questo meccanismo si sta rivelando un dilatatore delle diseguaglianze, perché l’ingresso in queste Accademie di élite viene sempre meno consentito in pari condizioni di accesso, moltiplicandolo per questa via la forbice che separa i vincenti dai perdenti.
La pandemia ha reso più evidenti le diseguaglianze, rendendo ancora più necessaria la costruzione di una nuova infrastruttura sociale per la vita collettiva che sia capace di assicurare una più larga base di eguaglianza delle opportunità.
Ma serve anche una diversa gerarchia dei valori sociali basata su un maggior grado di umiltà, per riconoscere che tutti noi siamo il risultato di uno sforzo collettivo. Abbiamo bisogno di una etica sociale dell’umiltà, in un tempo nel quale invece l’arroganza dei vincenti ha segnato in modo indelebile il destino delle nostre comunità.