Uscito il 24 settembre scorso per Laterza Editore, il nuovo lavoro di Andrea Marcolongo giunge puntuale, se non a risolvere le angosce dovute al tempo in cui viviamo, almeno a suggerirci una chiave di lettura “nuova” per interpretare il nostro presente.
L’autrice, che ha già al suo attivo quattro volumi in quattro anni (il primo – “La lingua geniale” – è stato un bestseller), è una studiosa del mondo classico e collabora con varie testate nazionali scrivendo di libri e di cultura. Il lettore non particolarmente appassionato di epica non si lasci tuttavia impressionare dal titolo dell’opera o dal curriculum dell’autrice. Già partendo dalla quarta di copertina questo libro ammalia per le modalità con le quali il tema classico viene affrontato. Lo stile della Marcolongo non è aulico né accademico, riservato dunque ai soli addetti ai lavori. Al contrario, è spontaneo e a tratti colloquiale e punta proprio ad attirare l’attenzione del lettore. Il quale non si sentirà intimorito approcciando ad argomenti normalmente ostici. Bensì piuttosto incuriosito, sentendosi chiamato a riflettere insieme con la scrittrice sui temi trattati.
“Perché, pur avendo dovuto tutti leggere l’Eneide a scuola, fatichiamo a ricordare qualcosa che non sia la fuga da Troia o la grande storia dell’amore tragico con Didone?”. Così questo saggio “aggancia” il lettore che si trova di fronte ad una realtà tanto autentica, banale forse, quanto mai indagata prima. Effettivamente l’Eneide non è un poema memorabile per gli studenti. Perché? La Marcolongo ci offre una risposta: forse perché Enea non è comprensibile nella sua eroicità nei periodi di pace, quando il vento soffia in poppa e tutto procede a favore. Enea è eroe per tempi difficili, quando tutto sembra perduto. Forse, allora, è l’eroe da rileggere in questo momento così difficile, nel quale la pandemia sembra aver scavato un solco netto tra il prima e il dopo.
Come comportarci di fronte ad un evento imprevedibile che ha stravolto la nostra vita e le nostre abitudini da un giorno all’altro? La risposta che ci viene da Enea è una ed unidirezionale: resistere e non mollare. Non abbandonarsi al destino avverso. Non cedere neanche quando sarebbe più facile che alzarsi e continuare. “Il lettore scopre per la prima volta che la pietas di Enea può rivelarsi assai più solida del suo scudo”. Ciò che salva Enea è proprio il suo essere pius, ossia solido come una quercia, temperato, fermo, razionale pur nella sofferenza. In questo sta la sua cifra eroica. Pur figlio di una dea, si presenta eroico nella sua umanità. Non è il condottiero forzuto, sempre pronto alla battaglia, fiero ai limiti dell’arroganza, conquistatore.
Enea è al contrario un esule, provato dal fato. Ha perso per sempre la patria e la moglie. Il suo futuro, proprio come il nostro oggi, è incerto e nebuloso. Ma lui reagisce, perché “il discrimine tra chi si salva e chi no è dato da cosa si sceglie di fare quando si è costretti in ginocchio. (…) Nella polvere, a Enea di chi sia la colpa importa poco. Perché sta già pensando a come risalire. È così che ha già vinto.”
Una lezione di cui far tesoro per ripartire e ricostruire. Armati, come Enea, di pietas.