La Città di Napoli tra i propri tesori inalienabili conserva anche la propria stessa lingua: il Napoletano. Una lingua inserita nel 2014 dall’UNESCO tra le lingue da proteggere, nonostante che sia tra le più note in Europa e nel mondo, non solo per l’emigrazione – che come una diaspora ha portato i meridionali in tutto il Mondo dopo l’Unità d’Italia – ma anche grazie alla canzone Napoletana, apprezzata ad ogni latitudine.
La lingua napoletana visse periodo di grande splendore con il Regno Aragonese, quindi nel primo Rinascimento, quando Alfonso I il Magnanimo, divenuto Re di Napoli, decretò l’uso del Napoletano come lingua degli atti ufficiali del Regno di Napoli, al posto del Latino. Ma ancora fino ai Borbone delle Due Sicilie, il Napoletano sopravviveva come Lingua diplomatica del Regno. La drammatica e sanguinosa annessione del Regno di Napoli all’Italia nascente chiuse gli spazi “ufficiali” alla Lingua napoletana la cui sopravvivenza è stata affidata alla gente comune, a Noi tutti insomma, che l’abbiamo coltivata in ambito familiare e nel parlato quotidiano informale.
Cosa si faccia oggi per preservare la lingua napoletana non si sa bene. Anzi, si va affermando tra i più giovani una perniciosa abitudine di… scrivere male il Napoletano, riducendolo a una serie di consonanti che si accavallano e si susseguono, sostenute dal solo criterio della eliminazione delle vocali che non si pronunciano nel Napoletano parlato.
Ma ci sono personaggi che anche oggi tengono alto il vessillo linguistico partenopeo in prima linea. E qui ricordiamo Massimiliano Verde, esperto di lingua Napoletana, allievo del compianto Carlo Iandolo, maestro come pochi altri della Lingua Napoletana.
A Massimiliano Verde, come Presidente dell’Accademia Napoletana – presente come Pagina e Gruppo su Facebook – abbiamo rivolto una domanda in lingua madre, di cui siano modesti cultori da sempre: Preside’ qual’è ‘o stato ‘e ll’arte d’ ‘a lengua nosta oggi in Italia?
Nel 2019, Anno Internazionale delle Lingue Autoctone, ho rappresentato l’idioma Napoletano in interlocuzione con l’UNESCO, per la tutela e l’insegnamento della lingua e cultura napoletane e ho condotto il primo corso di lingua e cultura napoletana secondo i dettami del QCER, riconosciuto dal Comune di Napoli. Eppure oggi constato un completo degrado in quanto soprattutto i minori, “i piccerilli”, sono tenuti lontani da un’educazione che valorizzi la dignità sociale e culturale del proprio idioma, quello Napoletano. Questa la sua risposta non confortante.
E vuje, dr. Verde che penzate?
Evitare iniziative di mero stampo accademico lontane da “‘o popolo vascio” e le produzioni di stampo folclorico o le produzioni commerciali che si vorrebbero “artistiche” e mass-mediali, ma che sono molto lesive del nostro patrimonio linguistico dal punto di vista ortografico e non solo. Il Napoletano è il secondo idioma più parlato in Italia, senza considerare le comunità emigrate all’estero d’origine meridionale, ma non è insegnato neppure nelle scuole pubbliche della città di Napoli e, purtroppo, esso viene criminalizzato, banalizzato, diffuso e incentivato presso le nuove generazioni, come idioma del male.
Beh. Aspettiamo allora fiduciosi gli sviluppi futuri. Buon lavoro!