Parlare di polmonite interstiziale in piena pandemia fa subito cogliere la correlazione tra legionellosi e Covid e la necessità della relativa prevenzione. In Campania, l’Arpac se ne occupa attraverso il laboratorio accreditato di riferimento regionale, a Salerno, diretto da Anna Maria Rossi. Ci siamo quindi rivolti a lei per inquadrare meglio il problema e il lavoro dell’Agenzia sul territorio. “Fare formazione e fare informazione significa fare educazione ambientale e dare un senso al lavoro che svolgiamo ogni giorno”, ci ha subito detto. Noi ci proviamo.
Qual è il suo ruolo all’interno dell’Agenzia?
Sono la Direttrice di struttura complessa dell’area analitica di Salerno. Coordino quattro laboratori, però parlando di legionella dobbiamo fare un passo indietro al 2001, agli albori dell’Agenzia. Quell’anno l’ISS e il Ministero della salute chiesero alle varie Regioni se avessero competenze specifiche per la ricerca del batterio della legionella nelle matrici ambientali, essenzialmente acqua ed aria. Già nel ’97 avevamo avuto dei casi in Campania, a Ischia e Paestum, ed io mi ero formata a Roma all’ISS. Pertanto, quando la Regione si rivolse all’Arpac, l’allora Direttore Generale individuò la struttura che si trovava presso il dipartimento di Salerno che diventò così il riferimento regionale per la legionellosi. Io me ne occupo sin da allora.
Ma che cos’è esattamente la legionellosi e quanto è presente in Campania?
Si tratta di una polmonite causata dal batterio della legionella che determina due forme cliniche: il cosiddetto morbo del Legionario, cioè una polmonite interstiziale che può presentare forme anche molto gravi, e la febbre di Pontiac, più leggera. Fino al 2004 in Campania venivano rilevati solo 3 o 4 casi all’anno, anche perché gli ospedali non erano dotati dei test necessari. Poi nel 2005 furono diagnosticati 38 casi. Nel 2018 tra residenti e turisti – per i quali esiste un circuito europeo di sorveglianza – ce ne sono stati 120 in Campania, a fronte di 1.200 in Lombardia, 5 in Calabria, 486 in Emilia-Romagna.
Un decimo dei casi della Lombardia e un quarto rispetto all’Emilia? A cosa è dovuta una differenza così forte?
I nostri ospedali sono molto attenti nelle diagnosi, ma probabilmente se la capacità di tracciamento venisse potenziata troveremmo altri casi. Forse. E’ solo una mia opinione.
Parliamo del rapporto tra legionellosi e Covid.
This is a very good question. Intanto, nel 2020 abbiamo avuto un numero minore di segnalazioni perché sono ovviamente mancati tutti i casi legati al turismo. Esiste poi una stretta correlazione, perché comunque si tratta di una polmonite interstiziale e tracciare la legionellosi è tanto più importante in quanto aiuta il sistema sanitario a non confondere le due cose. Il nostro lavoro, al netto della ricerca della fonte ambientale di contagio, un controllo ex post per così dire, consiste anche nel monitoraggio preventivo. Molti edifici, per esempio gli alberghi, hanno gli impianti fermi e il batterio della legionella vive benissimo nell’acqua stagnante o nei tubi dove ci sono incrostazioni. Quindi è importantissimo non abbassare la guardia sul controllo preventivo.
E chi fa il controllo preventivo?
La verifica del rischio legionellosi spetta ai datori di lavoro, per quanto riguarda le attività produttive, ed alle direzioni sanitarie relativamente ai presidi ospedalieri. Noi ci occupiamo di quelli convenzionati con l’Arpac (il San Pio di Benevento, tutti i presidi dell’ASL di Avellino e tutti quelli dell’ASL di Salerno) operando sulla base dei programmi delle direzioni sanitarie.
Delle reti comunali chi si occupa?
I gestori. Però questo è un batterio che predilige le temperature tra 20 e 40 gradi e quindi nelle acque di rete potabile, al netto dei serbatoi dei condomini, legionella non se ne trova.
Tornando agli ospedali, perché le ASL che sono regionali non sono tutte convenzionate con l’Arpac? Usano ditte private?
Può essere anche l’Università, dipende. Ogni ospedale, come qualunque azienda, deve fare un piano di sorveglianza per la legionellosi in cosiddetto autocontrollo. I vari ospedali, solitamente, hanno ditte che si occupano della manutenzione degli impianti e possono affidare questo servizio a chi ritengono.
Le norme sono rispettate, certo, ma resta un dubbio: perché mai le Aziende sanitarie regionali non si avvalgono dell’Agenzia regionale di controllo? Ma passiamo oltre. Quante persone lavorano nel laboratorio dedicato alla legionella?
Nel 2001 eravamo 3: io, una biologa ed un tecnico. Nel corso degli anni, durante i quali abbiamo anche lavorato spesso con le Procure, la necessità di personale è cresciuta ma purtroppo un po’ tutta l’Arpac è sottodimensionata. Oggi siamo 10, in totale, fra biologi specialisti (siamo l’unica articolazione di Arpac che si occupa esclusivamente di questo tipo di analisi), tecnici della prevenzione e tecnici di laboratorio e ci occupiamo sia del campionamento che delle analisi. Certo dovremmo essere di più.
Quindi ci sono voluti 20 anni per arrivare a 10 addetti.
Su questo tema c’è sempre stata un po’ di riserva mentale, perché per molto tempo si è immaginato che volessimo usurpare competenze alla sanità. Io continuo a dire che non è assolutamente così perché noi ci occupiamo di matrici ambientali, quindi siamo assolutamente nell’ambito delle nostre competenze. Ma oggi, grazie all’impegno del Direttore Generale, esiste una sensibilità diversa della quale abbiamo bisogno. Allo stato riusciamo ad evadere le richieste di controlli che riceviamo, sia pure con un po’ di difficoltà, ma se dovesse cambiare lo scenario avremmo bisogno di maggiori risorse. Si tratta di una materia a tutto tondo che coinvolge, oltre alla sanità, il turismo (se viene chiuso un albergo scatta una specifica black list europea) e molte altre attività produttive. Pensi che una volta si è ammalato un orafo e le legionelle sono state trovate in una spruzzetta che veniva utilizzata per ammorbidire il metallo.
Ma nei programmi attuali dell’Arpac c’è il potenziamento di questa struttura?
C’è il potenziamento di tutta l’Agenzia. Io posso dire che quando è stata, recentemente, riorganizzata l’Arpac, sono state accorpate varie strutture ma questa no. Anzi, è stata implementata la biologia molecolare. Quindi il Direttore Generale ha confermato l’importanza del nostro lavoro. Adesso bisogna capire cosa faremo da grandi.