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La Fashion Week e la tentazione provinciale di Milano

by Luca Rampazzo
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Sapete da cosa si capisce che la Moda è tornata a Milano? Provate a prendere un taxi. Vi sfido. La sera soprattutto, ma ogni orario è in realtà buono. Buono, per l’esperimento si intende. Per prendere il taxi è pessimo. Felicissimi i conducenti? Manco per sogno, sono cinque giorni di dolore pure per loro. Muoversi in città in questo momento è un’utopia. Facciamo, però, un passo indietro per chi questa manifestazione la conosce solo superficialmente. Per descriverla iniziamo a smascherare le sue bugie.

Prima di tutto, a dispetto del nome, non è una settimana. Sono cinque giorni, sei includendo l’apertura, che vengono dopo quelli di New York e prima di quelli di Londra. Questa precisazione è importante visti i numeri della manifestazione: indotto di 80 milioni di euro, 67 sfilate (2 doppie, 62 fisiche e 5 digitali), 72 presentazioni in forma statica e 33 eventi collaterali, sei show fuori calendario. Gli organizzatori stanno provando a rubare un giorno a New York, il cui pubblico è così attento e competente da non essersi minimamente accorto dell’intruso alla sfilata. Un uomo in cuffia e abbigliamento da doccia è, infatti, riuscito a sfilare senza alcuna reazione. Questa cosa è quasi più offensiva dell’ananas sulla pizza e dovrebbe da solo giustificare lo scippo di un giorno.

Giorno vitale per Milano perché, la settimana, non è, come si potrebbe pensare e come colossale menzogna vorrebbe, organizzata razionalmente in un solo luogo o in un’area geograficamente delimitata. Le sfilate sono ovunque nella prima cerchia della città, disseminate con una tecnica tra scienza e feng shui conosciuta nei circoli più esoterici col nome di “a membro di segugio”. Quindi non stiamo parlando di un congresso, di una serie di eventi collegati o di qualcosa di razionale. Ma di una follia di punti tra cui si muove una varia umanità, solitamente con mezzi a otto posti. E qui iniziano i veri problemi.

Vedete, Milano ci ha creduto davvero alla possibilità di diventare una “città a 15 minuti”. Cioè una città modulare, dove tutto quello che ti serve sta a un quarto d’ora da te. Per ottenere questo si sono implementate piste ciclabili, limiti di velocità a 30 km/h, autovelox, sensi unici. Mancano solo le torrette e il filo spinato, ma non diamo brutte idee. Questo a. non sta funzionando, visto il numero di incidenti di ciclisti e pedoni e b. rende gli eventi come la Fashion Week un incubo a occhi aperti. Perché, purtroppo, le sfilate sfidano costantemente la regola dei 15 minuti. Inoltre le modelle vanno spostate in macchina, perché la metropolitana e il make up ultra artistico non vanno proprio d’accordo.

Il che implica, quindi, un ingorgo unico lungo sei giorni (dall’anno prossimo sette, così questi yankee privi di gusto imparano). Con le conseguenze sull’inquinamento che potete facilmente immaginare. D’altronde, è la logica conseguenza di cercare di trasformare una metropoli europea in una confederazione di piccoli paesi. Isole artificiali nel mondo fluido contemporaneo. Col risultato, francamente ridicolo, che la Moda si vanta della propria sostenibilità perché i suoi tessuti si possono persino mangiare, ma poi rendono il centro di Milano una camera a gas. Non per colpa loro, sia chiaro, ma questo è il risultato finale.

Qualcuno potrebbe rimproverarmi perché finora non ho parlato di vestiti. Ma immagino che la maggior parte dei miei gentili lettori non siano così ingenui. La Moda, con la maiuscola, non riguarda i vestiti. Riguarda le tendenze, i sogni e la possibilità per i veri ricchi di vestirsi in maniera scomoda e di riconoscersi tra loro. Solo che, in una società globale, questa scomodità va accompagnata da riti e visibilità. Pensateci: le sfilate sono la cosa al mondo che ha meno bisogno della presenza fisica delle persone. Possono essere trasmesse senza grossi problemi. Eppure lo streaming non ha mai preso piede e tutti gli addetti del settore hanno tirato un sospiro di sollievo quando hanno potuto nuovamente spostarsi.

Questo perché le mannequin sono solo una distrazione, un contorno. Sono l’esterno del rito. L’interno, il vero motivo per gli eventi, il traffico, lo smog, la gente in passerella con la cuffia da doccia, sono gli affari. Dietro le quinte, tra i cocktail e le immense piste bianco neve, circolano milioni. E queste cose richiedono il contatto fisico, il colloquio personale, l’elemento umano. Insomma, se vi chiedono cosa sia la Milan Fashion Week la risposta più corretta è: il mercato rionale del terzo millennio. Una paludata processione di riti che un tempo significavano qualcosa e che oggi significa solo che nel foyer stanno passando di mano parecchi soldi. Davanti, qualcuno compra qualcosa. Ma i veri affari si fanno dove il sole non batte. Almeno lui.

Forse vi ho rovinato l’atmosfera, ma qualcuno, nell’era dell’armocromia militante dove farlo. Magari non mi ringrazierete, ma almeno quando andrete a comprare il pollo arrosto al mercato vi sentirete un po’ meno sfigati e un po’ più Armani.