Quella della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) è sotto tutti i rispetti una sentenza storica. Non tanto per i suoi contenuti, essendo solo interlocutoria, ma per le modalità con le quali ci si è arrivati.
La CIG è il tribunale delle Nazioni Unite incaricato di risolvere le controversie tra gli Stati. Non va confusa con la CPI, Corte Penale Internazionale, che – contrariamente alla CIG – non è diretta emanazione dell’ONU, ma organo giurisdizionale che ha competenza solo sui Paesi che espressamente hanno aderito alla sua costituzione nel 1998 e ne hanno accettato lo Statuto. Per intenderci, alla CPI non hanno aderito tra gli altri la Russia, l’Ucraina, gli USA, la Cina e l’India. Che viceversa, in quanto membri dell’ONU, riconoscono la giurisdizione della CIG.
La CPI deriva per genesi storica dai Tribunali Speciali post-bellici, tra i quali il più noto fu il Tribunale di Norimberga, istituiti per giudicare i crimini di guerra. Il campo di applicazione della sua giurisdizione, aldilà dell’incompetenza ad intervenire nei confronti degli Stati che non ne hanno sottoscritto lo Statuto, è limitato perciò ai crimini di guerra: genocidi, crimini contro l’umanità e aggressione a Stati sovrani.
Non è questo il caso della CIG. La Corte Internazionale di Giustizia è ‘organo ufficiale’ dell’ONU. Quanto alle competenze, circoscrive il suo raggio d’azione all’esatta interpretazione delle norme di diritto internazionale di emanazione ONU e a dirimere le controversie fra gli Stati membri. In pratica la CIG svolge la funzione di ‘arbitro’ nelle controversie tra gli Stati membri dell’ONU.
A quest’ultima si è rivolto lo scorso 29 dicembre il Sudafrica, chiedendole se sia configurabile il reato di genocidio da parte di Israele e, se sì, quali misure intenda adottare per sanzionare o per scongiurarne il suo compimento. Il Sudafrica, sostenendo la tesi del genocidio in atto, chiedeva conseguentemente che la CPI deliberasse l’immediato cessate il fuoco a Gaza.
Israele non si è sottratta al processo, questo è il dato storico più rilevante. Uno Stato, denunciato da un altro per presunte violazioni della Convenzione del 9 dicembre 1948 per la Prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, si è presentato in tribunale con la sua avvocatura per difendersi da questa accusa. Non è cosa da poco!
Nel corso del dibattimento gli avvocati israeliani non si sono limitati alla difesa dall’accusa, ma hanno cercato di rovesciarla in capo ad Hamas, sostenendo che l’attuale azione militare israeliana a Gaza sia legittima, in quanto volta a difendere i propri cittadini da nuove azioni criminali, quali quelle del 7 ottobre scorso, ed a colpirne gli autori. L’avvocatura del Sudafrica, per parte sua, ha motivato le accuse, sostenendo che l’azione di Israele su Gaza sia andata molto al di là della legittima difesa ed abbia tracimato verso il genocidio del popolo palestinese.
Occorre qui, prima di entrare nel merito della sentenza, un’ulteriore precisazione. Il genocidio è un crimine da non confondere con un generico crimine di guerra. Anzi, nella storia, i genocidi sono stati perpetrati al di fuori di un contesto di guerra. Quando, nel 1915, gli Armeni furono genocidati dai Turchi – un milione e mezzo di morti – non erano in guerra con la Turchia; erano disarmati, legittimi cittadini della Sublime Porta ed esprimevano finanche una loro rappresentanza parlamentare. Gli Ucraini non erano in guerra con l’Unione Sovietica di Stalin, quando questi con l’Holodomor procedette al loro sterminio, tre milioni di vittime, secondo le stime più accreditate. Così gli Ebrei, trucidati in sei milioni da Hitler con la Shoah, non avevano alcuno Stato; erano cittadini tedeschi, o cechi, o polacchi, o italiani, disarmati e neanche in rivolta contro il regime.
Nel caso di Gaza ci troviamo di fronte ad una tipologia del tutto diversa. Israele e Hamas sono in guerra ed entrambi armati. I crimini in corso – inoppugnabili – sono a nostro avviso assimilabili ai ‘crimini di guerra’ piuttosto che ai genocidi, ancorché nell’azione di Israele, che troppo spesso non distingue tra civili palestinesi ed Hamas, possano intravedersi anche profili genocidari.
Ma tant’è, il Sudafrica ha chiesto alla Corte di Giustizia Internazionale di sanzionare il presunto genocidio in atto e di prendere decisioni volte a fermare il massacro. Prima tra tutte l’ordine dell’immediato cessate il fuoco.
Ieri, dunque, la Corte – presidente la statunitense Joan E. Donoghue, vicepresidente il russo Kirill Gevorgian – ha emesso una prima pronuncia ‘cautelare’. Ha giudicato ammissibile la denuncia del Sudafrica – Israele ne chiedeva l’archiviazione – ma, tra le misure intimate verso Israele non c’è il cessate il fuoco. La CIG cioè non ha messo in discussione il diritto alla difesa da parte di Israele.
Né si è già espressa su se sia in atto un genocidio ai sensi della Convenzione del ‘48 – per tale giudizio ci vorrà tempo, non meno di un paio di anni a parere degli esperti – ma ha ritenuto plausibile che ad esso possa giungersi qualora Israele non adotti immediatamente alcune misure volte a prevenirlo. Tel Aviv dovrà quindi assicurarsi che le sue forze militari nella Striscia non commettano atti genocidari; dovrà prevenire e punire ogni incitamento pubblico diretto a commettere tali atti; assicurare la fornitura alla popolazione di Gaza dell’assistenza umanitaria urgente; prevenire la distruzione ed assicurare la preservazione di prove documentali e testimoniali di eventuali atti di genocidio sin qui commessi. Finora quindi siamo all’indicazione di misure cautelari volte a ‘prevenire’ il reato di genocidio, non ad una condanna per un reato giudicato già in essere.
Alle prime notizie della pronuncia, il vasto mondo filopalestinese ha esultato, trovandovi la conferma delle sue denunce circa il genocidio in atto. Non è così, pur se le parole della Presidente della CGI a motivazione della pronuncia sono molto severe verso Israele.
Resta da vedere come reagirà Tel Aviv. Si è costituita in giudizio ed ivi si è difesa, ha quindi accettato in toto la giurisdizione della Corte. Darà ora seguito alla pronuncia rispettandone le indicazioni?
È presumibile che decida di accettare ‘pro forma’ la sentenza, di fatto di eluderla, salvo magari che per la parte riguardante il divieto di ogni incitamento al genocidio. Vedremo, ma il fatto stesso che uno Stato terzo, non in guerra con un altro, sia ricorso alla CGI contro un altro Stato e che quest’ultimo si sia costituito e difeso in giudizio ha già di per sé un valore storico inconfutabile!