fbpx
Home In Italia e nel mondo Italiani e Francesi, cugini ma con vecchi rancori

Italiani e Francesi, cugini ma con vecchi rancori

by Piera De Prosperis
0 comment

Qualche giorno fa le parole del Ministro degli Interni francese Darmanin avevano rinfocolato l’annosa polemica tra Francia e Italia. Motivo del contendere la politica sui flussi migratori. Accenti di fuoco da entrambe le parti fino alla pacificazione, grazie all’intervento del portavoce dell’esecutivo Olivier Veran che ha avuto parole di distensione, fino ad affermare che l’Italia e la Francia sono intimamente legate dalla storia, da questioni economiche, sociali, culturali, ed anche migratorie. In effetti paesi molto simili eppure profondamente diversi, la cui storia si congiunge a partire dalla spedizione in Gallia nel 50 a.C., che consentì a Cesare di crearsi un solido apparato militare grazie al quale poté affrontare, una volta attraversato il Rubicone, la guerra civile con Pompeo. Le popolazioni della Gallia sono sottomesse con la vis e la clementia esercitate in parti uguali dal dittatore romano. Secoli dopo, per la precisione nel 1959, la Francia risponderà con l’ironia dei fumetti di Goscinny e Uderzo: Obelix e Asterix riusciranno a rendere insopportabili per la loro boria e la loro sostanziale incapacità i temibili invasori.

Un esempio che ben può rendere la sostanziale diversità/somiglianza dei due popoli che, in sostanza, giustifica tutte le scaramucce che spesso ci dividono dai cugini francesi, si può trarre dalla storia della letteratura ottocentesca. Tutti abbiamo studiato quel movimento letterario che in Francia prende il nome di Naturalismo ed in Italia di Verismo. Hanno la stessa matrice positivistica ma i libri di testo ci tengono a sottolineare, pur nelle comuni radici ideologiche, la sostanziale diversità. Ottimismo nel grande francese sulla possibilità che la letteratura possa davvero incidere sul cambiamento della società e delle condizioni di vita, pessimismo del grande siciliano per il quale chi si allontana dai valori del proprio mondo può perdersi: meglio rimanere legati al proprio scoglio che salva dalle tempeste del mare aperto. Zola borghese, capace con il suo J’accuse di smuovere le coscienze di una Francia antisemita, dotato di un eloquio dirompente e ricco con cui interviene, giudica, indirizza i suoi lettori. Verga gentiluomo di un Sud ammalorato dalla modernità e dal progresso che porta via i giovani e li manda in guerra a morire per uno Stato estraneo e rapace. Tutto raccontato attraverso le parole stesse dei personaggi a cui il narratore lascia il palcoscenico della storia. Nel 1884, a Parigi Verga incontrerà per la prima volta Zola e Goncourt, poi nel 1895 i due autori si incontreranno a Roma, galeotto Capuana, ma i due non si piaceranno. Troppo diversi caratterialmente e culturalmente, eppure ancora non possiamo fare a meno di studiarli appaiati, costretti loro malgrado ad un continuo confronto e ad una continua valutazione reciproca.

Forse questo è il senso dell’amore/odio che ci lega/respinge. Siamo simili ma non troppo, latini ma per vie diverse, cugini ma con vecchi rancori che si sono sedimentati e difficilmente potranno essere colmati.

Oggi, però, la posta in gioco è molto alta. Stiamo parlando dell’atteggiamento che i due Stati, tra quelli più coinvolti nelle problematiche dell’accoglienza, devono assumere per affrontare una questione che incide sull’Europa attuale e soprattutto futura. Zola direbbe: accogliamoli perché sono forza lavoro. Verga: accogliamoli vengono da un Sud ancora più sofferente del nostro. Diversi ma simili.