Lo scorso fine settimana, 13 e 14 aprile, si è tenuto l’Open Gate 2019 organizzato dalla Sogin. Le porte delle centrali nucleari in dismissione di Trino, Caorso, Latina e Garigliano sono state aperte al pubblico e alla stampa per dare modo ai cittadini di conoscere le modalità e le tecnologie adottate nello smantellamento. Non potevamo mancare e ci siamo presentati puntuali alla centrale del Garigliano domenica mattina. Ma, prima di darvi conto della visita, vediamo chi è e cosa fa la Sogin e in quale contesto opera.
Si tratta di una società per azioni che ha come unico socio il Ministero dell’Economia, segue gli indirizzi strategici del Ministero dello Sviluppo Economico ed è controllata in sede tecnica dal Ministero dell’Ambiente. Una struttura pubblica governativa, quindi, le cui attività sono finanziate tramite una componente della tariffa elettrica (cioè con le nostre bollette), con la mission del decommissioning degli impianti nucleari. Per decommissioning si intende: mantenimento in sicurezza dell’impianto; allontanamento del combustibile nucleare esaurito; decontaminazione e smantellamento delle installazioni nucleari; gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, in attesa del loro trasferimento al Deposito Nazionale; caratterizzazione radiologica finale.
A Sogin è anche affidato il compito di localizzare l’area dove poi realizzare e gestire il Deposito Nazionale, del quale a tutt’oggi non vi è traccia e si capisce perché. Quale Governo può mai avere interesse a piazzare i rifiuti radioattivi sotto casa degli elettori? Meglio continuare a pagare Francia e Inghilterra per tenerseli a casa loro. Si parla di 1,7 miliardi di euro per la sola lavorazione del combustibile nucleare. Se i Ministeri competenti (Sviluppo Economico e Ambiente) non daranno rapidamente alla Sogin il nulla osta a pubblicare la Carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitarlo, il termine previsto per la sua entrata in esercizio nel 2025 potrebbe slittare e i costi crescere.
La centrale del Garigliano si trova nel territorio di Sessa Aurunca, nel casertano, al confine con quello di Latina, al km 160,400 dell’Appia. Uno scenario agricolo familiare che però diventa un po’ lunare approssimandosi all’impianto. Sembra di essere in un film. Lasciata l’auto nel parcheggio ci apprestiamo a varcare i cancelli. La voce distante di una guardia giurata ci richiama: maestro avete sbagliato, dovete passare dall’interno. Meno male, siamo ancora a casa.
Accolti con una gentilezza ed un’efficienza alla quale dalle parti nostre non si è avvezzi, veniamo condotti in una sala nella quale è posizionato il plastico della centrale e subito puntiamo il dito e chiediamo al fisico Alfonso Maria Esposito, direttore dell’impianto, e questo cos’è?
Questo è il vessel. Un contenitore di metallo all’interno del quale c’erano gli elementi di combustibile e le barre di controllo, era il nucleo della centrale dove avveniva la reazione. Di per sé, essendo un cilindro di metallo spesso circa 18 cm, scherma già parzialmente le radiazioni. Comunque, al suo esterno c’è quello che si chiama schermo biologico, cioè una serie di muri di cemento armato dello spessore variabile da 3,5 mt a 1,5 mt che impediscono alle radiazioni di uscire. Quindi lo schermo biologico è lo schermo di cemento armato che c’è attorno al vessel.
Nel vessel oggi cosa c’è?
Nel vessel, durante la produzione, ci sono le barre di combustibile e le barre di controllo che rappresentano il 99% della radioattività di un impianto nucleare. Attualmente al Garigliano tutte le barre di combustibile sono state allontanate, nell’87 l’ultimo trasporto, per essere inviate a riprocessamento in Francia. Attualmente ci sono solo le barre di controllo. Ce ne sono 89 e dovranno essere rimosse prima di smantellare il resto del vessel.
Il vessel è stato aperto?
E’ stato aperto il muro di cemento per avere l’accessibilità all’impianto. Per poterlo smantellare dobbiamo ripristinare alcuni collegamenti che erano stati a suo tempo isolati, ossia quando fu messo in custodia protettiva passiva. Le valvole furono chiuse, alcune tubazioni furono sigillate. Ora, dovendo riaprire il vessel, abbiamo necessità di accedere a questi punti per poter ricollegare il vessel all’impianto che serve ad allagarlo. Infatti, tutta l’operazione di taglio all’interno del vessel deve essere fatta sott’acqua per garantire ai lavoratori un’adeguata schermatura. Ovviamente lavoreranno al di sopra del livello dell’acqua con dei robot che invece vanno sott’acqua a fare il taglio.
Tutto questo quando?
Il progetto di smantellamento del vessel dura nel complesso 9 anni. E’ stato avviato nel 2016 con tutta la parte di progettazione preliminare e, l’anno scorso, sono state fatte appunto le aperture sulla parte superiore dello schermo biologico per avere accesso agli impianti di allagamento del reattore e del vessel. Attualmente stiamo facendo la progettazione esecutiva dell’impianto di allagamento e dei nuovi filtri che dovranno essere realizzati tra la fine di quest’anno e l’inizio dell’anno prossimo. Comunque, dal 2016, 9 anni, l’attività dovrebbe finire nel 2025.
E sarà così?
Si, siamo in linea con i tempi.
I soldi?
Ci vengono riconosciuti a piè di lista. Nel senso che noi effettuiamo un lavoro e in base al lavoro effettuato presentiamo le fatture e i soldi ci vengono rimborsati. Noi non ne riceviamo né in più né in meno rispetto al lavoro effettivamente svolto.
In ogni centrale esiste un deposito provvisorio di materiale radioattivo, cosa c’è attualmente al Garigliano?
Le scorie radioattive prodotte dal riprocessamento del combustibile non possono essere stoccate in centrale e sono all’estero. I rifiuti radioattivi che vengono prodotti dallo smantellamento dell’impianto vengono stoccati in sicurezza nei depositi temporanei presenti sull’impianto stesso in attesa dell’invio al deposito nazionale. Quindi abbiamo su ogni sito la volumetria necessaria a gestire tutte le attività di centrale e a stoccare tutti i rifiuti che produciamo con le operazioni di decommissioning. Attualmente qui abbiamo depositati circa 3.000 mc di rifiuto su un totale di 7.000 mc che dovremmo stoccare fino a fine attività. Diciamo che siamo quasi al 50%, se vogliamo utilizzare questo come indice di avanzamento delle attività.
Come faccio ad essere sicura che una volta tornata a casa non mi spuntino due teste?
(risate) Diciamo che noi lavoriamo qui tutti i giorni e stiamo tutti bene. I lavoratori, la popolazione, l’ambiente sono sottoposti a controlli periodici e sistematici. Questi controlli sono oggetto di verifica da parte di Enti tra cui Isin (Ispettorato per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) e Arpac (Agenzia regionale per l’ambiente Campania). Quindi abbiamo sia una rete di monitoraggio interna che una rete esterna per verificare che tutto quello che facciamo all’interno venga gestito in sicurezza senza rilascio all’esterno. Ne abbiamo anche la controprova con un controllo esterno che verifica l’esattezza delle misurazioni interne.
Come sono i rapporti con la cittadinanza?
I rapporti si sono molto distesi anche grazie a queste iniziative. Anni fa c’era una chiusura verso l’esterno per cui, non essendoci la possibilità di verificare cosa accadesse nell’impianto, si verificò anche una chiusura della popolazione verso di noi. Queste iniziative, ormai siamo alla terza edizione, ci consentono di dare la possibilità, a chiunque voglia, di venire in centrale e verificare coi propri occhi quello che stiamo facendo, aldilà dei comunicati e delle chiacchiere.
Torniamo a Isin e Arpac.
Sono i nostri Enti di controllo principali. In particolare, Isin ha la competenza e l’onere di effettuare tutte le verifiche sulle nostre attività sia dal punto di vista della radioprotezione che dell’avanzamento fisico dei lavori. L’Arpac ha una sua rete di monitoraggio, una rete terza, che consente verifiche indipendenti sulla radioattività, in più ha anche una competenza specifica sulla parte convenzionale dell’impianto. Quindi ogni anno, almeno una vota all’anno, riceviamo gli ispettori che vengono a verificare che i nostri scarichi siano conformi alle normative di legge. Ovviamente esiste una costante interlocuzione per quello che riguarda le autorizzazioni, perché ogni nostra attività deve essere autorizzata e verificata. Quindi per ogni singolo intervento inviamo un progetto operativo, un progetto particolareggiato, sottoposto ad un iter di valutazione da parte dell’Ente, che ci rilascia l’autorizzazione solo quando ha avuto la certezza che tutto il processo rispetta le prescrizioni cui siamo soggetti. Si tratta di un controllo puntuale su tutto quello che facciamo.
Non tutto il materiale di risulta è però radioattivo.
Esatto. Delle circa 270.000 t di materiale che dovranno essere smantellate dall’impianto, 260.000 circa sono materiali convenzionali. La restante parte, per almeno il 50% può essere decontaminata quindi può essere pulita dalla contaminazione e rilasciata anch’essa come materiale convenzionale. Trattandosi prevalentemente di acciaio è facilmente riutilizzabile come materia prima in fonderia. Noi abbiamo stimato che circa il 96% dei materiali che verranno dallo smantellamento potranno essere riciclati.
A questo punto, abbiamo iniziato il giro della centrale. La visita è terminata con una specie di TAC per misurare il nostro livello di radioattività. Ci hanno detto pari a zero e noi ci fidiamo, anche perché non possiamo fare diversamente.
Ci rimane, però, una perplessità. Isin e Arpac hanno davvero le competenze scientifiche e la struttura per controllare il lavoro della Sogin e delle ditte appaltatrici? Ma questo è un altro capitolo e lo scriveremo col direttore generale Pernice e con il commissario Sorvino.
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