Nella recente ricorrenza del “Quattro Novembre” – come sempre più spesso accade negli ultimi anni di omologazione culturale – è stato celebrato sia pure senza soverchi entusiasmi il giorno della “VITTORIA” per antonomasia, quella dell’Italia contro le potenze austroungariche nella Prima guerra mondiale. Ma ancora una volta, come sempre, la retorica trionfalistica della Vittoria ha oscurato il sacrificio e la sofferenza di quei milioni di fanti che – provenienti da ogni parte del Belpaese, ma divenuti Italiani, almeno formalmente, a furia di cannonate savoiarde sparate senza risparmio sulla Fortezza di Gaeta, poco meno di mezzo secolo prima – soffrirono patimenti inauditi nelle trincee della Grande Guerra.
Nel proprio romanzo storico “Un Anno sull’Altopiano” Emilio Lussu, membro dell’Assemblea Costituente e grande figura del Socialismo italiano, dipinge un grande e completo affresco della guerra, come essa fu vissuta dai soldati italiani al fronte. La rappresentazione letteraria diventa così, spesso impietosa, perché intessuta di ricordi personali dei mesi trascorsi da Lussu come combattente del Reggimento 399 sull’Altopiano di Asiago. Lussu narra che egli era l’unico a non bere alcolici, prevalentemente un duro e forte cognac nazionale, in quel Reggimento. Il riferimento non è affatto ozioso, in quanto gli alcolici erano consumati senza risparmio dalla truppa, prima di tutto per combattere il freddo, ma anche semplicemente per… combattere(!), trovando nell’alcol la forza e il coraggio di farlo in quelle condizioni di estremo pericolo in cui la Vita era costantemente in forse, pronta a cedere inesorabilmente il passo alla Morte.
Nel libro però, in quelle condizioni estreme, la truppa veniva incitata all’attacco da un generale fanatico, il quale suscitava nei propri soldati soprattutto la voglia di ucciderlo sparando a lui piuttosto che ai nemici dell’opposta trincea, colpevoli alla fine soltanto di esistere. Un romanzo scomodo, insomma, scritto da un uomo onesto. Ci sembra infatti opportuno precisare – per meglio illustrare, sia pure in estrema sintesi, la caratura dell’uomo Emilio Lussu – che egli, pur esprimendo senza incertezze la propria condanna della guerra, assolse al proprio dovere di soldato combattente fino in fondo. E cioè fino al punto da essere decorato al valor militare, in un conflitto sanguinoso, nel quale perirono più di 600mila uomini, mentre altri 400mila ne uscirono feriti o mutilati. Il libro di Lussu, considerato a lungo uno dei grandi romanzi storici dell’Italia contemporanea, fu pubblicato per la prima volta nel 1938 in Francia, paese che ospitava molta della intellighentia italiana antifascista, e poi pubblicato in Italia nel 1945, dopo la Liberazione.
Forse, per assurdo fu lo stesso lo stesso primo conflitto mondiale, che vide l’Italia schierata contro nazioni straniere occupanti, a gettare per la prima volta le basi di un amalgama sociale ed umano tra i soldati italiani provenienti da tante diverse regioni. Fu quel conflitto, alla fine, l’unico momento iniziale di un processo unitario di popolo, che chiamò alle armi, dalle Alpi alla Sicilia, cittadini di una unica Nazione. Una Nazione uscita solo formalmente unita sotto un’unica bandiera dal Risorgimento, nato e cresciuto soprattutto nel Settentrione dell’Italia, che aveva illuso molti circa il fatto che – una volta fatta l’Italia – si sarebbero poi fatti anche gli italiani. Insomma e comunque, si innescò così, a caro prezzo, il germe di una “fratellanza” tra le genti del Meridione, portatrici di millenaria cultura dalle radici italico-magnogreche, e le genti del centro nord con le loro radici culturali variegate, intrise di quelle autoctone e di quelle derivate dalle migrazioni mitteleuropee seguite allo sfaldamento dell’impalcatura imperiale dell’Impero romano.
Se ancora oggi la questione meridionale – con il divario tra Nord e Sud che si apprezza tangibilmente, anzi, ancora troppo tangibilmente – continua ad esistere ed a dividere il Belpaese, lo si deve proprio a quel vizio d’origine mai davvero del tutto cancellato.
E forse, piuttosto che celebrare vuotamente i fasti della Vittoria, sarebbe davvero il caso di sostenere al meglio per il futuro la iniziativa concreta e vivente de “Il Treno del Milite ignoto”. Essa si è tenuta per la prima volta nel 2021, il 2 di novembre, data della commemorazione dei Cento anni dall’arrivo alla Stazione Termini di Roma – il 2 di Novembre 1921 – del treno che aveva trasportato la salma del Milite Ignoto. La Commemorazione e il periplo del Treno attraverso le Stazioni ferroviarie di tutta l’Italia si è attuata per iniziativa del Ministero della Difesa, condotta in collaborazione con il Gruppo Ferrovie dello stato italiane e la Fondazione FS, dando vita al Treno della Memoria, che ha viaggiato in Italia anche in questo 2022, riproponendo a tutti la figura intramontabile del Milite ignoto, in rappresentanza simbolica di tutti i soldati, vittime di tutte le guerre, contro tutte le guerre.