Nikolaj Vasil’evic Gogol, come è stato scritto da Gente e Territorio (https://www.genteeterritorio.it/non-e-un-piccolo-fiume-il-dnestr-e-attraversa-leuropa/), è stato un grande intellettuale europeo. Come tutti gli scrittori che parlano al cuore dell’uomo, teneva le sue radici piantate nell’anima e non sulla terra organizzata nei confini geografici degli Stati.
La terribile vicenda della invasione ucraina da parte della Russia non si spiega con le grandi categorie soggettive dello spirito, che dovrebbero indurre immediatamente a cogliere gli elementi di unione in nome della comune umanità. Siamo invece nel territorio della politica, che usa altri mezzi quando non trova poi le sue ragioni mediante l’arma del dialogo.
Il Novecento non è ancora finito. Ci eravamo illusi che il crollo della Unione Sovietica avesse segnato il trionfo delle democrazie occidentali e, per alcuni, anche la fine della Storia. Ma la polvere mangiata dagli sconfitti, soprattutto quando sono Nazioni ben armate, si traduce in spirito di rivalsa e in disperata ricerca di una nuova affermazione.
Vladimir Putin ha costruito la retorica della rivincita, in un tracciato di lungo periodo che si colloca tra Pietro il Grande e Stalin. La Russia deve ritornare nel consesso delle grandi potenze e lo può fare agitando la retorica del revanscismo, coniugata con la copertura ideologica della religione di Stato, l’ortodossa Chiesa di Mosca. Non eravamo preparati a questa coda del Novecento, che si presenta ormai come il Secolo Lungo, con una transizione interrotta dalla superficialità con la quale si era chiusa la fase precedente.
John Mainard Keynes, il grande economista inglese, dopo la Seconda guerra mondiale scrisse un brillante saggio titolato “Le conseguenze economiche della pace”. L’umiliazione alla quale era stato sottoposto lo Stato tedesco, anche con sanzioni particolarmente severe, avrebbe preparato la strada ad un nuovo conflitto. Accadde così. Il mondo fu investito dalla furia di un nuovo totalitarismo razzista, e la Seconda guerra mondiale è stata la sanzione alla incapacità della politica di evitare una umiliazione del perdente.
Si capiscono così forse meglio le parole del Presidente francese, Emanuel Macron, quando continua a ripetere che non dobbiamo umiliare la Russia. Ma forse siamo arrivati troppo tardi. I fantasmi del nazionalismo hanno già prodotto i loro veleni. Tornare al linguaggio della diplomazia quando le armi hanno cominciato a far sentire la loro voce è sempre difficile. Una guerra richiede un vincitore ed un vinto. Questa è la difficoltà nella quale è oggi impantanata la via stretta dei politici che tentano di trovare il sentiero del dialogo.
Forse, solo il concerto delle grandi potenze – Stati Uniti, Cina ed Europa – può disporre della forza di persuasione necessaria per fermarsi, finché si è ancora in tempo