Un incontro culturale dedicato al Sarno e ai cambiamenti climatici oggi in atto nel mondo, con numeroso pubblico, si è tenuto nella splendida cornice della Sala Hermes dell’Hotel del Sole rilanciato dalla gestione di Mario Donnarumma. Da lassù si gode di una vista mozzafiato, quasi a strapiombo sulla Via Plinio, che costeggia l’antica Via Nuceria.
I partecipanti all’evento hanno potuto quindi godere del sottostante scenario della Pompei Antica adagiata sul pianoro lavico su cui sorse la Pumpàia osca, poi latinizzatasi in POMPEII. Secondo alcuni studiosi infatti l’antichissima Pumpéia campana, divenuta poi l’osca Pumpàia, sarebbe nata prima della metà del Primo Millennio avanti Cristo, per iniziativa di alcune tribù Sarraste. Forse esse si diressero sul pianoro per concomitanti problematiche geo-ambientali e climatiche, quando la civiltà Osca cominciò a declinare nella valle del Sarno, almeno nella parte del territorio vallivo e lagunare che aveva ad epicentro Lòngola.
Il sito protostorico di Lòngola infatti – oggi musealizzato come un accogliente “Parco Archeologico Naturalistico” aperto al pubblico – era in epoca osca all’interno di bacino territoriale, più o meno corrispondente ai territori comunali delle odierne tre cittadine di Poggiomarino, Striano e San Valentino Torio.
Esse erano unificate in una “enclave” culturale che già praticava il culto dei morti attraverso la inumazione, tecnica che prevede la collocazione del defunto in fosse protette o in tombe dedicate. E tale pratica, come si sa, è ancora viva oggi nella civiltà occidentale.
Vale la pena a questo punto di ricordare il ritrovamento risalente del corpo semi-mummificato di Marcus Venerius Secundio a Pompei Scavi, deposto in una tomba unica, prima della eruzione pliniana del 79 d.C.
La ubicazione della tomba presso la Porta di Sarno, la Porta urbana di Pompei contigua al Canale Sarno e “osca” per eccellenza, considerate anche le numerose lapidi e iscrizioni osche ivi ritrovate, non era casuale, a nostro avviso modesto. Ma i fiumi di inchiostro versati sul ritrovamento hanno in generale ignorato questo significativo collegamento culturale e territoriale, che rimandava alla Valle del Sarno di cui Pompei antica è la propaggine pedevesuviana.
E proprio la Valle del Sarno, il suo omonimo Fiume e i suoi abitanti Sarrasti sono stati i protagonisti dell’incontro culturale dello scorso 22 giugno promosso dalla locale Associazione Accademia Pompeiana, il cui Presidente Giovanni D’Amato, ingegnere ed esperto territorialista, è stato anche il Relatore principale della serata, moderata dal giornalista Mario Cardone.
D’amato ha esposto il proprio intervento, con la pacata ma ferma consapevolezza di chi conosce bene le complesse dinamiche del territorio, del suo uso e del suo sistematico abuso, sia da parte degli abitanti che, soprattutto, da parte dei pubblici poteri.
E, dopo avere fatto un’ampia disanima storica sulle bonifiche del Fiume Sarno – susseguitesi con alterni o scarsi risultati dal Milleseicento, secolo della costruzione di ben due canali, il Canale Sarno e il Bottaro, entrambi alimentati dalla rete idrografica del Sarno – si è soffermato sulla più importante e significativa opera di rettifica idraulica eseguita sul fiume. D’Amato ha illustrato come la rettifica fu voluta e realizzata a metà del Milleottocento dal “decisionista” Ferdinando II di Borbone, il quale in meno di un quinquennio fece “raddrizzare” l’asta fluviale del Sarno, molto sinuosa per la piattezza del territorio che attraversava nel suo tratto finale, da Scafati al mare di Rovigliano, attraverso le campagne pompeiane.
In breve, quel tratto del Sarno da Scafati a Rovigliano fu ridotto da dodici a soli sette chilometri e dotato di una ripa praticabile, oggi Via Ripuaria, nonché di approdi e di una “conca di navigazione” che permetteva la “risalita” del fiume alle imbarcazioni cariche di esplosivo e altri materiali diretti al Polverificio Borbonico, dotato di approdo fluviale appositamente.
Da quel momento il Fiume Sarno e la sua rete idrografica furono oggetto di cure manutentive continue e puntuali, durate però soltanto fino al secondo dopoguerra del Novecento, come ha tenuto a precisare il relatore. D’Amato è stato infatti di inequivocabile chiarezza quando ha individuato nella istituzione delle Regioni – e nel transito ad esse delle competenze sulle acque interne – la fine di ogni cura e attenzione per le fasi manutentive delle rete idrografica, oggi ridotta allo sfacelo più totale e incontrollato, non solo in Campania. (Ndr: Romagna se ci sei batti un colpo).
L’abbandono e lo sfacelo sono forieri di problematiche alluvionali imprevedibili, ma certe, secondo D’Amato, il quale ha chiuso il proprio intervento dicendo: “E’ solo una questione di tempo una seria esondazione, nonostante il battage regionale in atto sul recupero del Sarno – finora limitato alla ottimizzazione delle reti fognarie e favorito dalla crisi industriale conciaria solofrana, grazie alla quale il Sarno sta riprendendo vita biologica – che non potrà essere completo se non si porrà mano alla rete idrografica, trascurata da troppi anni e allo stesso letto del fiume, sempre più intasato da sedimenti soprattutto verso la foce a mare.”
Ha dato eco e sostegno tecnico qualificato alle tesi sconfortate di D’Amato, il Giudice Tecnico delle Acque presso la Corte di Appello di Napoli, ing. Pietro Ernesto De Felice, grande esperto del Sarno e dei suoi defluenti, nel breve ma intenso intervento concessogli dal moderatore Cardone.
Ha chiuso la serata l’architetta Angela Parlato, esperta in Urbanistica e Paesaggio, operante presso il Comune di Sarno, la quale – accompagnata nella proiezione e la scelta delle immagini da Pasquale Romano, ingegnere esperto di efficientamento energetico – ha tracciato una esaustiva carrellata storica sulla valle del Sarno e sul Fiume che la irrora e la nutre da sempre. Sono le “Aeqora Sarnus,” le acque plurime della rete idrografica cantata da Virgilio nella sua Eneide.