Parlare di Recovery Plan in questo periodo è d’obbligo e tutte le amministrazioni operanti sul territorio nazionale offrono il proprio contributo analitico. Forse è il legittimo tentativo di ricordare a chi comanda: guarda che ci siamo anche noi.
Anche il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) che, ricordiamo, riunisce sotto l’egida dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) tutto il complesso delle 21 Agenzie per l’Ambiente, regionali e provinciali, ha inteso fare il punto sul proprio ruolo nell’ambito della reale gestione delle enormi risorse che sono state programmate.
Facciamo un passo indietro e ricordiamoci di cosa stiamo parlando.
Lo scorso luglio l’Unione Europea, ha approvato il Next generation EU, noto in Italia come Recovery Fund, ovvero quel fondo speciale volto a finanziare la ripresa economica del vecchio continente. Titoli di Stato europei (Recovery bond) che serviranno a sostenere i progetti di riforma strutturali previsti dai Piani nazionali di riforme di ogni Paese: i Recovery Plan, appunto.
Quello italiano è stato chiamato PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e si focalizza tra l’altro sulla transizione verde. Complessivamente, grossomodo 209 miliardi di euro di cui 127 sotto forma di prestiti e 82 a fondo perduto. Un’occasione unica per realizzare tutte quelle riforme che aspettano da tempo di essere attuate, a cominciare dalla svolta green del Paese.
Rivoluzione verde e transizione ecologica è l’asse strutturale di cui vuole essere protagonista SNPA.
Come si legge sul suo notiziario, “…per capire come il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente e gli enti che lo compongono, Ispra e le agenzie ambientali, possono dare il proprio contributo perché questa ripartenza sia nel segno dell’ambiente, abbiamo intervistato tutti i direttori generali per capire da loro come stanno affrontando l’attuale periodo di crisi e come pensano di poter contribuire ad uscirne in una logica di transizione ecologica…”
Ventuno interviste, stesse domande per tutti, che danno un quadro abbastanza variegato delle politiche di monitoraggio ambientale in Italia. Del resto, le realtà regionali di riferimento sono estremamente disomogenee per conformazione paesaggistica ed elemento antropico. Si passa da regioni dove è più cogente il problema della gestione corretta dei procedimenti industriali a quelle dove la priorità è la salvaguardia del paesaggio in chiave turistica.
Particolarmente interessante il discorso sviluppato da Alessandro Bratti, direttore generale di Ispra. Nel rivendicare un ruolo di primo piano di SNPA quale interlocutore privilegiato del Governo per le politiche ambientali, Bratti si rammarica del fatto che “…da un lato c’è ancora poca conoscenza da parte dei decisori politici dell’attività svolta dal Sistema, dall’altro come Snpa non siamo riusciti ancora ad affermarci e farci riconoscere quali interlocutori strategici in un disegno di questo genere. Le Agenzie sono ancora viste spesso come una direzione della Regione e per Ispra, come anche per gli enti di ricerca nazionali, non c’è stato un coinvolgimento se non marginale nelle proposte progettuali che sono in corso…”
Concetto ben rafforzato quando, nel richiamare come qualità fondanti autorevolezza ed autonomia soprattutto di Ispra, ricorda come la stessa cosa non possa dirsi con assoluta certezza delle Arpa finanziate dalle stesse regioni di appartenenza:
“…Quella dell’autonomia è una battaglia che nel tempo bisognerà in qualche modo fare. Se si vuole più indipendenza, è necessario che dal punto di vista giuridico questo riconoscimento ci sia. Se ci fosse un certo grado di finanziamento che venisse anche dal livello nazionale, questo potrebbe dare alle Agenzie un’autonomia maggiore rispetto alle Regioni stesse e farle più sentire integrate nel Sistema…”
Consapevole che le Arpa danno conto in primis ai governatori delle regioni e poi a lui, Bratti auspica per il Sistema ambientale nazionale il riconoscimento di Autority, con un modello simile a quello anglosassone. Potenza del Recovery Fund.