Giovedì sera si è conclusa a Chicago la Convention del Partito Democratico americano. Una quattro giorni di politica e spettacoli che hanno portato ufficialmente alla investitura di Kamala Harris, sfidante di Donald J. Trump candidato del partito repubblicano alla Presidenza USA. La Convention si è conclusa, e non poteva essere diversamente, con il discorso di Kamala Harris e l’accettazione della candidatura. Ora, chi si aspettava un discorso di investitura da parte di Kamala Harris che ricalcasse la sua storia politica è rimasto in parte deluso.
Ma bisogna anche soffermarsi sulla sequenza degli interventi (speakers) che hanno portato al discorso finale della Harris. Una sorte di mosaico di posizioni da parte di autorevoli personalità della politica americana, soprattutto democratici ma anche repubblicani.
Ha iniziato Michelle Obama, con un messaggio forte rivolto alle donne ed alle minorities. Non scoraggiatevi, datevi da fare. Do something. Un messaggio tra il politico ed il messianico, continuato da Barack Obama. Ha parlato di valori familiari, di opportunità, di costruire comunità basate sul bene. Sull’aiuto reciproco. Nella tradizione della grande comunità americana, che scopre e coltiva la solidarietà ed il principio di gratitudine. E dal pubblico si levava il gridio USA, USA. Non scontato affatto per il Partito Democratico e per tanti critici dei Democratici che per anni hanno questionato il patriottismo dei Democratici.
Chiara la posizione di Nancy Pelosi, già speaker della Camera e gran regista dell’operazione di convincere Biden a rinunciare alla candidatura. Lei che ha difeso la Democrazia americana dall’assalto del 6 gennaio 2001, ha ribadito la necessità di tenere Trump lontano dalla Casa Bianca. Secondo la Pelosi, un pericolo per la Democrazia Americana. Insomma, dalle donne è arrivato un invito a sostenere la Harris: un invito rivolto a quella fetta di elettorato femminile capace di influenzare il voto, soprattutto sul tema dell’aborto e sulla inseminazione artificiale. Temi ostracizzati dai repubblicani.
Ma il punto di svolta, a nostro avviso, è stato l’intervento di Leo Panetta, già a capo della CIA e Ministro della Difesa. Regista, durante il suo mandato, della cattura ed uccisione di Osama Bin Laden. Panetta ha ribadito che la presidenza Harris tutelerà i veterani, denigrati da Trump, e sosterrà appieno le Forze Armate. Un messaggio forte per chi vedeva nei Democratici un partito anti-forze armate e poco attento ai diritti e tutela dei veterani.
Infine il palco è tutto per Kamala Harris. Un discorso di 45 minuti. Convincente. Ha iniziato dalla sua storia familiare. Genitori emigrati dall’India e dalla Giamaica per seguire il sogno americano. Madre attenta alla istruzione delle figlie e partecipe al movimento dei diritti civili, in quella California degli anni, laboratorio di idee politiche, innovazione tecnologica e partecipazione comunitaria. E su tutto il principio di solidarietà comunitaria: cardine della vita sociale americana. Una visione dell’America opposta al grande individualismo prospettato da Donald Trump. Poi il suo impegno per la classe media, per i diritti dei lavoratori e fermezza nel mantenere la leadership americana nel mondo. Sostegno ad Israele ma anche dei diritti umanitari dei Palestinesi. Un discorso che colloca il Partito Democratico fermamente al centro della Politica americana. Il partito della Nazione, un partito nel quale tanti si possono riconoscere a fronte dell’individualismo sfrenato del patito repubblicano. Il partito di Trump.
Il messaggio è stato lanciato, ora si tratta di abbracciare i messaggi dei vari leaders, da Michelle Obama a Nancy Pelosi. Impegniamoci, facciamo volontariato per portare Kamala Harris alla Casa Bianca. Mancano poco più di settanta giorni alla scadenza elettorale, la Convention Democratica ha tracciato una chiara posizione tra i due schieramenti. Si tratta ora di far arrivare il messaggio in ogni angolo elettorale degli USA.