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Il pacifismo di Bergoglio

Tutt’altro che un pacifista sovversivo

by Luigi Gravagnuolo
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1914, 3 settembre, a sorpresa il Conclave elegge pontefice il cardinale Giacomo della Chiesa. Era stato elevato al porporato da soli tre mesi. Il 28 luglio dello stesso anno era scoppiata la Prima Guerra Mondiale, che vedeva coinvolte ‘l’un contro l’altra armata’ le principali nazioni cattoliche dell’Europa. Da quale parte si sarebbe schierata la Santa Sede? Per comprendere il ‘pacifismo’ di Papa Bergoglio, irremovibile anche di fronte alla arrogante violazione del diritto internazionale da parte di Putin, vale la pena dare un occhio a quella vicenda.

La Chiesa si trovò in una situazione molto complicata. Gli Italiani si aspettavano la sua condivisione della scelta di entrare in guerra allo scopo di difendere la patria e di completarne l’unificazione. Ma il Regno d’Italia era lo stesso che con la forza militare aveva sopraffatto lo Stato Pontificio e non era riconosciuto come legittimo dalla Santa Sede. Verso i cattolici italiani vigeva il Non expedit di Pio IX: salvo che nelle elezioni amministrative locali, non dovevano partecipare al voto, né come elettori né come candidati. Il cattolico che avesse violato tale divieto non avrebbe ricevuto più i sacramenti, a cominciare dall’eucaristia. In pratica sarebbe stato scomunicato.

Vero è che, con il Patto Gentiloni, nel ‘13 il rigore del Non expedit era stato attenuato e che la Chiesa aveva consentito ai cattolici di presentarsi candidati al Parlamento nelle liste liberali, ma i rapporti tra Regno e Santa Sede erano ancora dilaniati. Addirittura la Chiesa si rifiutava di fornire all’esercito italiano propri sacerdoti come assistenti spirituali.

Per converso la principale potenza in guerra con l’Italia, l’Impero Austro-Ungarico, vedeva il reciproco riconoscimento e una proficua sintonia tra Stato e Chiesa Cattolica.

Avrebbe potuto il Pontefice schierare la Santa Sede dalla parte del Regno dei Savoia, invasore dello Stato Pontificio, e mettersi contro la cattolicissima Austria? Benedetto XV – questo il nome che assunse il card. Giacomo della Chiesa – si trovò di fronte a questo dilemma.

La scelta, scontata, fu il neutralismo. Né con l’Italia né con l’Austria, la Chiesa si sarebbe tenuta fuori dal conflitto. Ma era una posizione pavida. Come avrebbe potuto estraniarsi da una tragedia che vedeva morire ogni giorno migliaia di giovani cattolici dell’uno o dell’altro schieramento? Non bastava dirsi neutrali, occorreva una posizione più forte, radicale. E fu la condanna della guerra in se stessa, l’inutile strage, perpetrata per interessi di potere non più arginati dall’etica dei governanti nella società individualista e scristianizzata.

La posizione restò tale per tutta la durata della guerra, durante la quale tuttavia, specie per la mediazione efficace del generale Cadorna, Capo di S. M. delle Forze Armate del Regno, furono assegnati i sacerdoti anche all’esercito italiano, come assistenti spirituali o come addetti alla sanità. E Benedetto XV, ‘prigioniero in Vaticano’, non poté che inviare frequenti appelli per la pace ai Capi degli Stati in guerra. Agli appelli – tanto accorati quanto inascoltati – la Santa Sede affiancò l’opera in aiuto alle popolazioni civili di tutte le parti, in soccorso ai feriti, in supporto ai rifugiati, a conforto degli orfani di guerra e di mediazione per favorire gli scambi di prigionieri.

Questa collocazione era simile, per alcuni aspetti, a quella assunta dai socialisti di sinistra in tutta Europa, contrari alla guerra tra potenze capitaliste e propensi ad un pacifismo che arrivava a chiamare i soldati di tutte le parti alla diserzione.

Anche i socialisti, come i cattolici, erano presenti in tutte le nazioni in guerra ed anche loro non potevano schierarsi per l’una o per l’altra. Così la Conferenza dell’Internazionale socialista del ‘14, tra lacerazioni e spaccature di ogni genere, affermò nel contrastato documento finale: “Siamo profondamente convinti che nella solidarietà internazionale del proletariato di tutto il mondo, l’umanità troverà i mezzi per por termine al più presto alla guerra. E possano i termini di pace essere dettati non dai diplomatici e dal potere dei predoni, ma dal popolo stesso che prende il suo destino nelle proprie mani».

Questa assonanza tra le posizioni della Santa Sede e quelle dell’Internazionale socialista fece guadagnare a Benedetto XV inevitabili accuse di fiancheggiamento del sovversivismo socialista, pur essendoci un abisso tra le due culture e ispirazioni.

È un po’ quello che abbiamo vissuto in questi ultimi anni con papa Francesco. Che è stato tutt’altro che un pacifista sovversivo. Meno che mai in contrasto con la tradizione cattolica.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, nel tempo dei totalitarismi, la Chiesa mantenne l’indirizzo di Benedetto XV, pur se con una voce più flebile. E alla fine di un lungo e contrastato cammino arrivò nel ‘63 ad una scelta radicale contro la guerra e la violenza, espressa nella potente Pacem in Terris di papa Giovanni XXIII e ribadita dai pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco.

Riflettiamoci, quando leggiamo che la Chiesa condanna la guerra in Sudan, o quella nel Kashmir, o altri conflitti lontani, a noi pare molto ragionevole. Perché non si fermano le armi? Da cosa sono generati questi conflitti se non dalla sete di arricchimento dei mercanti d’armi? Tutto ci sembra di facile lettura e siamo pronti a condividerne senza riserve gli appelli. Diverso è quando la guerra ci tocca da vicino e ci vede direttamente coinvolti. Come nel caso dell’Ucraina, la cui invasione è stata preparata ed affiancata da una capillare campagna mediatica volta a rappresentare l’aggredito come l’aggressore e a sollecitare la mobilitazione delle opinioni pubbliche dell’Occidente per il disarmo. Dei propri Paesi, ovviamente! Avete mai sentito uno dei nostri ineffabili pacidisarmisti chiedere il disarmo della Russia, o di Hamas, o dell’Iran?

Superficialmente dunque il pacifismo di Bergoglio può essere accomunato a quello dei pacidisarmisti filo putiniani. Ma è un accostamento strumentale. Così come fu con Benedetto XV è tutt’altra cosa. Quando Francesco ha impetrato il disarmo, lo ha fatto rivolto a tutti, a cominciare dai Paesi con pulsioni imperiali, non solo all’Occidente. E quando, prima o poi, finita in un modo o in un altro anche questa guerra bisognerà costruire una nuova convivenza internazionale, la voce della Chiesa dovrà essere credibile come voce universale, non come quella di una delle tante religioni identitarie di una parte del mondo avversa alle altre.

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