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Il mio viaggio in Eritrea

Una realtà complessa

by Flavio Morrone
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L’Eritrea è un paese di cui non si sa molto. Nelle mappe del continente che registrano statistiche economiche o demografiche è puntualmente l’unico paese in grigio senza informazioni disponibili. Se ne parla come una delle più dure dittature al mondo, accomunata a stati come Corea del Nord e Turkmenistan. Un paese che si è reso indipendente dall’Etiopia dopo una durissima guerra durata oltre vent’anni, a seguito di cui, nel 1991, Isaiah Afewerki ha preso il potere non tollerando alcun tipo di opposizione, mettendo nel cassetto le premesse democratiche alla base del movimento indipendentista. Sarà anche per questo che l’Eritrea non è ancora una meta battuta dal turismo di massa. Senz’altro i pochi collegamenti aerei che rendono raggiungibile l’unico e minuscolo aeroporto internazionale della capitale Asmara, le lungaggini burocratiche per entrare nel paese prima, e uscire da Asmara poi, rappresentano importanti deterrenti per tutti i potenziali visitatori.

Eppure, a coloro che hanno l’insistenza di partire comunque è riservata un’accoglienza regale. Dal clima di Asmara, in primis, il cui sole tiepido e asciutto bacia la pelle con dolcezza. Dal popolo eritreo, accogliente e rispettoso, puzzle di etnie (sono nove i principali gruppi, come raffigurati dalle banconote – nakfah), religioni (cristiani ortodossi, cattolici e musulmani) e lingue (il tigrino è la lingua principale, ma nella scuola dell’obbligo vengono insegnati anche arabo, afar, tigrè, e dalla scuola secondaria si insegna l’inglese). Da una cucina ricca, dominata dalla tradizionale injera che accompagna stufati di carne di vitello o capretto, esaltati dall’immancabile berberè, e che presenta non poche pietanze custodite dal passato coloniale italiano, tra pasta, pizza, caffè macchiati, cornetti e panettoni, ma anche liquori come vermouth e fernet. Dal profumo delle sue spezie e della cerimonia del caffè, servito tre volte con pop-corn e accompagnato dal profumo di incenso o pece greca. Da una straordinaria bio-diversità di pesci e uccelli, dalla pace e dalla quiete delle proprie isole Dahlak.

Un paese sicuro, in cui la sera i bar dell’ex Corso Italia di Asmara brulicano di gente, così come quelli dei vicoli della decadente Massawa, tra musica a tutto volume e neon non adatti a pubblico fotosensibile. Sicuro, sì, ma anche tristemente privo di prospettive per i cittadini eritrei, costretti dopo i 18 anni all’addestramento militare nella durissima scuola-caserma di Sawa e poi a un servizio militare obbligatorio di durata indefinita. Eritrei che vivono, in media, con meno di €60 al mese, in un’economia completamente cash-based, praticamente senza internet (solo ad Asmara c’è qualche Internet cafè, che funziona poco e male ed è completamente controllato dal governo), e dove è difficilissimo risparmiare e fare programmi a medio-lungo termine. Anche per questi motivi, l’emigrazione clandestina resta un tema di grande attualità, nonostante la situazione a dir poco complessa del vicino Sudan, prima porta verso l’Occidente. Eppure, la sensazione, anche uscendo da Asmara e addentrandosi nelle aree più rurali – dove la nostra guida ci rassicura sulla presenza di acqua, elettricità, scuole ed ospedali – è che non ci siano quei fenomeni di povertà assoluta che molto spesso ci immaginiamo dall’Occidente.

Se ogni viaggio ci concede una lezione, forse quella tratta da queste settimane spese in Eritrea è che la realtà è complessa. E’ giusto stigmatizzare alcune dinamiche del passato coloniale, ma è anche chiaro ed evidente a tutti (in primis agli stessi eritrei) che il paese deve la maggior parte delle sue infrastrutture proprio a quanto costruirono gli italiani. La dittatura non è certo la configurazione politica ideale, ma è la soluzione che sta tenendo unito e in pace un popolo così etnicamente e culturalmente variegato. Infine, certo, il progresso ha migliorato le vite delle persone in tutto il mondo secondo qualsiasi indicatore misurabile, ma forse lentamente erode la bellezza e la semplicità dell’essere umano: il piacere di condividere un pasto caldo e genuino con la famiglia, il rito di un caffè sorseggiato in amicizia. Viaggiare in Eritrea è anche viaggiare indietro nel tempo, a un tempo senza internet, smartphone, ma di maggior convivialità, semplicità e umanità.

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