I tempi sono maturi per la formazione se non di un partito, quanto meno di un grande rassemblement di tutte le forze riformiste italiane.
L’Italia ne ha bisogno. Ha bisogno cioè di una classe dirigente preparata, competente, rispettosa dei diritti politici e sociali dei cittadini senza con ciò essere codista rispetto agli umori viscerali della gente, con una visione del futuro ecosostenibile, digitale, solidale, europeista ed orientata alla cooperazione internazionale. In pratica, di una forza riformista liberal-democratica, o liberal-socialista, o social-democratica, come più piace definirla. E quando un Paese ha bisogno di una forza politica, prima o poi essa nasce e si afferma.
In Italia in realtà sarebbe già sorta, se non fosse per i personalismi e i narcisismi che caratterizzano il ‘campo’ politico riformista e che fanno dei tentativi di sua strutturazione una fatica di Sisifo.
Già non è facile di per sé il parto di una formazione politica strutturata e duratura nel tempo, figuriamoci di una forza con fronte impronta liberale, cioè con una cultura per la quale l’individuo ha il primato rispetto alla collettività.
Le società occidentali sembrano avere una crisi di rigetto ogni qualvolta qualcuno cerca di riproporre un partito vecchia maniera, con i suoi processi democratici di costruzione collettiva delle posizioni, i suoi dibattiti e scontri interni, le sue ritualità per la selezione dei gruppi dirigenti. Anche forze innovative hanno sbattuto il muso contro questa realtà. Si è visto che fine ha fatto il M5S – che pure aveva fatto uno sforzo genuino di modernizzazione della forma-partito – quando ha cercato di esigere una disciplina interna ai suoi rappresentanti con atti notarili, penali stratosferiche ed espulsioni a raffica. Squagliato, o vicino allo squagliamento!
Normale quindi che non ci sia lo spazio per qualcosa del genere nel campo liberal-socialista, ancorché i suoi ideali e valori siano coerenti con le esigenze della storia.
Insomma le esigenze politiche e sociali dell’Italia, combinate con quelle culturali proprie del liberalismo, per un verso facilitano lo spuntare periodico di varie sigle liberal-democratiche, per un altro le condannano alla decomposizione precoce.
Né si tratta di dinamiche solo nazionali. Non c’è Comune in cui non proliferino liste e candidati sindaci di ispirazione liberal-socialista, che si combattono tra di loro, si dividono e disperdono il potenziale elettorale comune.
Ci troviamo in breve in una situazione di impasse, nella quale non si riesce a trovare il bandolo della matassa. L’Italia ha bisogno di una forza politica liberal-socialista, ma ogni volta che sta per partorirla, la abortisce.
È un bandolo che potrebbe essere trovato e riavvolto in modo ordinato solo da una leadership autorevole che, a cominciare dalla figura del leader, abbia grande, ma davvero grande capacità politica e che sia riconosciuta dall’opinione pubblica come sintesi di una classe dirigente all’altezza dei compiti. Ci riuscì in Francia quattro anni fa Emmanuel Macron, con un blitz fulminante alla vigilia del voto, che non lasciò il tempo ai suoi concorrenti di organizzarsi a fini interdittivi. Non è semplice la sua replica italiana.
E così, da noi, mentre si consuma la mediocre competizione interna al campo riformista tra modesti aspiranti leader, l’altro campo politico, quello populista e sovranista, si muove agilmente. Gioca a tenere il piede in due scarpe, una nel governo e l’altra all’opposizione e le cose, a leggere i sondaggi, sembrano volgere al meglio per loro. Mica è detto che la storia si fermi ad aspettare il leader liberal-socialista che non c’è!